lunedì 20 luglio 2015

" Dentro " di Sandro Bonvissuto ovvero della scrittura come esercizio di sottrazione.







E' uscita da qualche mese l'edizione economica Einaudi di " Dentro ", autore Sandro Bonvissuto. Perché scrivere di una raccolta di racconti, tre per la precisione, edita qualche anno fa? Il primo motivo è questi tre racconti mi hanno colpito positivamente; il secondo è che, se volessi scrivere un racconto o un romanzo, vorrei essere dotata dell'abilità sintetica (e sintattica) dell'autore; il terzo motivo è che adesso la raccolta è in edizione economica: niente più scuse per rinviare l'acquisto...

Partiamo dai temi dei tre racconti: " Il giardino delle arance amare " è il resoconto verosimile di un uomo che viene incarcerato per la prima, e forse unica, volta. Non sappiamo per quale crimine, né se sia colpevole o innocente. E nemmeno ci importa. Ma viviamo lo smarrimento di un uomo che viene privato della sua libertà, della dignità e del significato stesso della sua vita. Un racconto che costringe a guardarsi dentro, anche se non hai mai vissuto l'esperienza del carcere. I muri paiono davvero alzarsi davanti a chi legge e la puzza terribile della latrina dentro la cella è quasi avvertibile. Così come il lento scorrere del tempo che non passa mai, bene prezioso, spesso sottovalutato, per chi è fuori, angoscia intollerabile per chi è dentro. Un'infermeria senza farmaci e una biblioteca senza libri diventano i paradigmi di una "naturalità" fatta di regole non scritte e non dette, ma che vanno imparate subito. 

Leggendo si prova compassione (nel senso alto del termine) e forse anche comprensione per chi è costretto a questa non-vita. E si sospira di sollievo quando il protagonista trova il padre ad attenderlo, all'uscita dal carcere. 

Gli altri due racconti " Il mio compagno di banco " e " Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta " hanno già nel titolo il loro tema. Ed è grazie allo stile dell'autore, scarno, asciutto, quasi rigoroso, che riusciamo a toccare quel banco di scuola, e a salire con lui per la prima volta in bicicletta.

Non si trova un aggettivo superfluo, nessuna descrizione eccessiva, alcuna caduta nel patetico nemmeno nel primo racconto. Ci sono solo il protagonista, solo anche quando è con gli altri, e il lettore, anzi la lettrice in questo caso. Come se i tre racconti fossero stati scritti apposta per la lettrice, che non è mai entrata in un carcere, non ha mai avuto un compagno di banco e ha imparato ad andare in bicicletta nonostante il padre. 

Cosa aggiungere? Solo, parafrasando Guccini, "Sandro....raccontane altre.". 






giovedì 2 luglio 2015

" L' Esposizione Universale" al Teatro India e le premonizioni di Luigi Squarzina .







Il mese scorso è andato in scena al Teatro India un testo inedito di Luigi Squarzina, scritto nel 1946, "L'esposizione Universale". Il titolo dell'opera si riferisce proprio a quell'Esposizione Universale, meglio conosciuta come E42, con la quale Mussolini avrebbe voluto celebrare il ventennale della marcia su Roma.

La prima rappresentazione teatrale del testo, dopo quasi settant'anni dalla scrittura (e censura), coincide non casualmente con l'evento EXPO 2015 a Milano. Esiste un filo conduttore che unisce il testo, lo spettacolo oggi e l'Esposizione di Milano?  
Da lombarda, che non ha ancora visitato l'EXPO, la prima assonanza che provo è con l'analoga speranza di creare una città nuova, abitazioni moderne, ricchezza, attrazione per i turisti stranieri, laddove ci sono periferia, abbandono, mancanza di risorse economiche. Mussolini prima della guerra all' EUR. Il Comune di Milano, il comitato organizzatore dell' Expo 2015, e tanti enti e investitori a vario titolo, nella zona di Rho-Pero. Questo per parlare solo degli aspetti positivi...

Il progetto di Mussolini non è stato portato a termine, come sappiamo, e infatti la pièce è ambientata nell'immediato dopoguerra, presso il cantiere dell' E42, dove sono accampati promiscuamente sfollati romani, che hanno perso la casa sotto i bombardamenti, come pure immigrati da varie parti d'Italia. Ed ecco il secondo nodo che lega all'oggi il testo di Luigi Squarzina: immigrati italiani, sul palcoscenico del Teatro India, senza lavoro, senza casa, che si arrabattano con mille mezzi, più o meno legali, per riuscire a sopravvivere. 
Nella realtà odierna migranti stranieri, sopravvissuti anche loro a guerre e persecuzioni come gli sfollati dell' E42, che cercano di arrivare in Italia nella speranza di una nuova vita. E come sui barconi troviamo l'umanità più varia, anche sul palcoscenico del Teatro India gli sfollati sono assai diversi fra loro.

C'è la vedova disperata con due figlie, una gravemente malata; la coppia di innamorati; il fotografo che non ha più pellicola per poter lavorare; l'idealista testa calda, che però si lascerà corrompere; il poliziotto ambiguo e viscido; e molti ancora. Due personaggi sugli altri, a rappresentare l'Italia che stava cambiando, il professore ex-fascista che ha perso un figlio durante la guerra, interpretato da Luciano Virgilio. E lo scrittore fallito, anche lui ex-fascista ma già riciclatosi, che vuole speculare su quell'area, attirando investitori stranieri che vogliono costruire alberghi di lusso. Per questo corrompe il giovane idealista affinché convinca i profughi (sempre italiani, ricordatelo) che è necessario lo sgombero. Lo scrittore, emblema di un' Italietta sempre pronta a salire sul carro del vincitore, è magistralmente interpretato da Stefano Santospago, che appare in scena, in mezzo agli sfollati vestiti quasi di stracci, in completo di lino bianco, accompagnato dalla figliastra, di cui sperpera il patrimonio in quanto tutore.

Squarzina, e con lui il regista Piero Maccarinelli, non lasciano vincere facilmente lo scrittore-speculatore: gli abitanti di E42 si rivoltano contro la polizia, animati dal giovane corrotto ma poi rinsavito. Ma alla fine gli sfollati si dovranno incamminare verso un vero e proprio campo profughi, il Campo Parioli (verrebbe da sorridere, se non fosse che questo campo, poi bidonville, è esistito davvero fino al 1958, quando si è cominciato a costruire il Villaggio Olimpico).

La scenografia povera, formata da letti e tavoli grezzi, rende bene l'ambiente in cui potevano vivere gli sfollati. Sullo sfondo dei grandi schermi, dove scorrono le immagini dell' Eur "incompleto". Bravissimi tutti gli altri attori giovani, allievi della "Silvio d'Amico" e del Centro Sperimentale di Cinematografia.

Uno spettacolo che meritava di essere finalmente scoperto, e non solo perché del grande Squarzina, ma per i tanti spunti di riflessione che offre allo spettatore italiano.

Mi auguro che venga riproposto nella prossima stagione, possibilmente al Teatro Argentina, dove le due ore e mezza senza intervallo saranno più "godibili" rispetto al Teatro India. Anche la spettatrice curiosa e appassionata rischia un crollo fisico, a causa delle poltroncine incollate le une alle altre e scomodissime, dove non è possibile né appoggiare i piedi a terra, né spostare un braccio. Per non parlare della mancanza di aria condizionata e dell'esterno in semi abbandono. Buona l'idea di allestire un aperitivo gratuito nel foyer, ma non basta per colmare queste carenze davvero essenziali. 

Speriamo che il direttore del Teatro di Roma Antonio Calbi, o chi per lui, ci metta mano prima dell'inizio della prossima stagione.