martedì 7 aprile 2015

" Il ritorno a casa ", ovvero lo scandalo ancora attuale di Pinter .





Dopo circa tre ore di spettacolo al Teatro Vascello, la spettatrice attenta non si stupisce che "Il ritorno a casa" di Harold Pinter abbia scandalizzato alla sua prima rappresentazione, cinquant'anni fa. Ma oggi rimane solo l'eco di quello scandalo o, a distanza di alcuni giorni, il testo di Pinter ha scavato nel conscio (e nell'inconscio) della stessa spettatrice? 

Il regista Peter Stein ha mantenuto l'ambientazione della pièce: scenografie, costumi e oggettica in scena sono gli stessi logori e stantii del proletariato inglese inizio anni '60. Una famiglia che ha cercato disperatamente di diventare piccolo-borghese, ma a nulla sono serviti gli sforzi del padre-patriarca Max (uno straordinario Paolo Graziosi), macellaio per tutta la vita.

La famiglia di Pinter, tutta al maschile, si barcamena fra i servizi di Sam, fratello di Max, autista di limousine; gli sforzi da facchino e da pugile del figlio idiota Joey; e le pretenziosità di atteggiamento e abbigliamento dell'altro figlio Lenny, all'apparenza nullafacente, in realtà sfruttatore di prostitute. Quattro uomini che convivono in equilibrio precario, grazie al disprezzo reciproco e all'odio condiviso verso le donne (tutte puttane).

A sconvolgere quest'apparente equilibrio arriva il figlio maggiore Teddy, con la moglie Ruth. Teddy è riuscito a sfuggire ai tentacoli famigliari: si è laureato in filosofia e ora insegna, con successo, negli Stati Uniti; ha una moglie, due figli maschi, una villa con piscina. La coppia arriva di notte, nella casa paterna, senza avvertire nessuno. L'inaspettato ritorno a casa, dopo anni, di Teddy, ma ancor più l'ingresso in scena della moglie Ruth, innesca varie sequenze di svelamenti, sfide, minacce, e terribili insulti verso la donna. Tutto sembra preannunciare un esito drammatico. 

I crimini peggiori avvengono nelle famiglie, pensava Harold Pinter. Ruth, come tutte le altre donne, compresa la moglie defunta del patriarca Max, è una puttana. E una puttana è adatta solo a soddisfare tutti gli istinti repressi dei cognati, a tenere in ordine la casa, a cucinare, anzi dovrà contribuire al suo mantenimento prostituendosi, come le altre donne al servizio di Lenny. 

E il marito Teddy? Torna a casa, dai suoi figli e dalle sue lezioni al College. Quello che accade alla moglie Ruth è inevitabile: una prostituta come moglie vale quanto una prostituta per mestiere, che sia per strada o in casa della sua famiglia. Lui ha i suoi alti concetti filosofici a cui badare.

Ma Ruth, da vittima sacrificale della famiglia, comincia a dettare regole a Max, Lenny e Joey: sugli orari, sull'appartamento nel quale si dovrà prostituire, sulla cameriera che esige al suo servizio. Ecco che si fa strada, in modo imprevedibile e crudele, la teoria di Peter Stein: quando la donna comincia a dominare, perde le sue caratteristiche femminili. 

Così Ruth arriva, con un guizzo, a sedersi sulla poltrona, fino allora intoccabile, del padre-padrone Max. Inginocchiati attorno a lei, Max, Joey e Lenny, comprendono troppo tardi di aver messo le loro vite nelle mani di una donna (ancorché puttana). 

Il silenzio sospeso degli spettatori giovani e la malcelata condivisione del pubblico più adulto, mostrano che il dramma di Pinter, pur riprodotto senza alcun ammodernamento, è caustico e sferzante come negli anni Sessanta. Merito di Peter Stein, ma anche di una compagnia di attori affiatati e convincenti nel mostrare le quotidiane perversioni della famiglia tradizionale. Sopra tutti, oltre al già menzionato Paolo Graziosi (la parte di Max sembra scritta addosso a lui), Alessandro Averone, nel ruolo di Lenny: bravissimo nella sua inquietante e ambigua perversità. Straordinaria nello sconvolgere i piani (e gli spettatori) Arianna Scommegna, premiata come migliore attrice italiana agli UBU 2014 proprio per questa parte.