mercoledì 31 dicembre 2014

" Natale in casa Cupiello"... senza Eduardo.






Eccomi, buona ultima, con le mie impressioni sullo spettacolo diretto da Antonio Latella al Teatro Argentina. Nel frattempo sono uscite molte recensioni, alcune negative altre entusiastiche, ma io ancora aspettavo che la visione dello spettacolo si “sedimentasse” in me, per essere il più possibile obiettiva. L’altra sera ho casualmente rivisto in tv, per l’ennesima volta, lo spettacolo originale con Eduardo, Luca de Filippo, Pupella Maggio e Lina Sastri. A quel punto, non potevo più rinviare.

Prima di arrivare al Teatro Argentina ero a conoscenza che la versione di Latella sarebbe stata “rivoluzionaria”: mi era stato detto che il regista ama “provocare”. D’altro canto, non avendo mai visto uno spettacolo con la sua regia, ero nella condizione migliore per giudicare.

Primo atto: all’inizio lascia spiazzati la presentazione dei personaggi. Tutti in piedi, al limite del proscenio, vestiti di nero in varie fogge (anche due attori vestiti da donna), indossano una mascherina nera, di quelle che si utilizzano per dormire. Solo Luca (Francesco Manetti) ha una giacca bianca. Man mano che i personaggi iniziano a recitare, si levano la maschera. Fin qui la scelta del regista è quasi rigorosamente aderente al testo: gli attori declamano i dialoghi e anche le didascalie, mentre Luca pare scrivere nell’aria ogni singola parola con un’invisibile penna. Il pubblico è attento, incuriosito, chi sa le battute del testo a memoria aspetta di vedere se e quando gli attori si muoveranno sul palcoscenico. Alle loro spalle una enorme stella cometa luminosa: fin qui la magia di Eduardo è salva.

Secondo atto: cambio scena. La cometa scompare, una musica indiavolata, fra il Rocky Horror Picture Show e un concerto heavy metal invade e pervade il palcoscenico e gli attori, che si muovono come invasati, portandosi dietro enormi fantocci di animali, che rappresentano il pranzo di Natale, capponi, tacchini ecc, ma anche gli animali del presepio, cammello compreso. La spettatrice attenta si chiede: ma è lo stesso spettacolo di prima? Nel mezzo del sabba avanza Concetta (Monica Piseddu), la moglie di Luca, trascinando un carretto (questa immagine mi ha fatto subito pensare a Madre Coraggio di Brecht). Un carretto che in verità è una carrozza, o un cocchio funebre dorato, dalle pareti di vetro trasparente. Attorno al cocchio i vari personaggi si rincorrono, si confrontano, mentre Luca appare sempre più avulso dalla realtà che lo circonda e continua a scrivere le battute dei dialoghi all’interno delle pareti del cocchio. Alla fine Concetta rimane dentro il cocchio, sepolta sotto i fantocci animaleschi.

Terzo atto: nuovo cambiamento di scena e di registro (anzi, verrebbe da dire cambio di regista, data l’assoluta eterogeneità e mancanza di armonia fra i tre atti). Ad ogni modo, al centro della scena la mangiatoia del presepio, ma dentro non c’è il bambinello, bensì Lucariello, malato, incosciente, seminudo. Da un lato Concetta, con un abito a metà strada fra la dama del Seicento in lutto e la monaca. A sinistra, anche loro vestiti a lutto, i personaggi secondari (gli amici in visita) intonano una nenia funebre, forse un madrigale, mentre l’attore en travesti sembra il cantante dei Tazenda. L’angelo dell’annuncio scende dall’alto e altri non è che il portiere. Tommasino (Lino Musella) rimane assorto, seduto ai piedi della mangiatoia. Finalmente l’ultimo personaggio rimasto con la mascherina, fermo in un angolo del proscenio, si rivela: è il dottore, ovviamente. Reggendo un fantoccio a forma di scimmia ( non vedo, non parlo, non sento?) visita Lucariello, ma anziché recitare, canta le sue battute come in un minuetto. La spettatrice attenta comincia ad augurarsi la fine dello spettacolo, che si suppone imminente, perché in fondo al palcoscenico si apre il fondale, appaiono il bue e l’asinello (vivi, come si può capire dall’odore che arriva fino alla platea).

Ma ancora non è finita: mentre Concetta si sposta dietro la mangiatoia, come la Madonna della Pietà, Tommasino prende due secchi ripieni di foglie (d’alloro paiono alla spettatrice attenta), e con quelle foglie ricopre il padre, rimasto nudo nella mangiatoia. Da un altro secchio sparge della polvere accanto alla mangiatoia, che non è cenere ma mangime per attirare fino a lì il bue e l’asinello.

E mentre ci si aspetta che cali il sipario, ecco un altro colpo di scena/genio del regista: Tommasino prende un cuscino e soffoca il padre (che peraltro già era soffocato dalle foglie). Ma perché? Quale dovrebbe essere il significato simbolico di questo parricidio?

Applausi dalla maggioranza degli spettatori (gli attori sono in effetti tutti bravissimi), qualche fischio. La spettatrice attenta, ancora sconvolta dal parricidio, esce perplessa dall’Argentina. E’ lecito rivoluzionare un  testo ormai classico? Certo che sì, ma l’operazione deve avere un motivo di fondo, deve aggiungere altri significati (dove ce ne siano) e non cancellare quelli esistenti e ben conosciuti. Altrimenti rischia di evolversi in un esercizio anche divertente, ma fine a se stesso, un ennesimo "épater le bourgeois" del quale la spettatrice attenta non sentiva il bisogno. 

domenica 7 dicembre 2014

" Il Mercante di Venezia" .... orfano di Shylock.







Dopo aver portato in scena “Romeo e Giulietta” e “La tempesta”, Valerio Binasco con la sua compagnia “The Popular etc…” affronta un altro pezzo forte del Bardo “Il Mercante di Venezia”. Agli attori della compagnia questa volta si è aggiunto Silvio Orlando, proprio nel ruolo di Shylock.

Vi dico subito che tanto la rappresentazione  de “La Tempesta” la scorsa stagione, mi aveva positivamente stupito ed emozionato, tanto questa versione de “Il Mercante di Venezia” mi lascia soddisfatta a metà e con una serie di interrogativi. Il primo dei quali riguarda proprio la scelta di Silvio Orlando: un nome di richiamo per il cartellone del Teatro Argentina? (“La Tempesta” andò in scena al Teatro Vascello). O una scelta voluta per sottolineare l’estraneità dell’attore alla compagnia, così come Shylock era straniero a Venezia?
Complice la cadenza da Europa dell’Est con la quale  recita Silvio Orlando (ma non si capisce che lingua vorrebbe essere, non certo yiddish né polacco, forse rumeno, ma perché?), quello che ne risulta è lo straniamento totale del personaggio.

Gli attori della compagnia di Binasco sono anche stavolta brillanti e la commedia, a tratti, è anche molto divertente. La satira sui nobili ricchi (e meno ricchi) veneziani, colpisce invero il bersaglio. Bassanio è il giovane che vive al di sopra dei suoi pochi mezzi, grazie all’aiuto costante di Antonio che, da buon cattolico, presta i soldi a tutti senza chiedere interessi.
La figlia di Shylock detesta il padre, lo inganna e fugge con l’innamorato portandosi via tutti i gioielli, frutto dei prestiti ad usura del padre. Salvo poi tornare dopo pochi mesi a Venezia, avendo già scialacquato tutto il patrimonio rubato.
Porzia, la ricca patrizia di cui Bassanio è innamorato, pare sottomessa, suo malgrado, alle ultime volontà del padre morto, pronta a sposare il “povero ma bello”, se solo potesse. Seguendo l’autore, si riscatta travestendosi da uomo, per salvare Antonio dal pagare la penale del prestito a Shylock. E qui l’astuzia femminile sovrasta quella di Shylock, che così non può vendicarsi su Antonio e perde di fatto tutte le sue proprietà.

Fin qui non c’è nulla di discordante o innovativo rispetto al testo originale, ma, appunto, da Valerio Binasco era lecito aspettarsi altro. E’ vero che vediamo in Antonio e Bassanio non solo l’odio verso Shylock in quanto ebreo e usuraio, ma anche il rifiuto quasi xenofobo di tutti gli stranieri, ma questo aspetto forse meritava un approfondimento o maggiore enfasi.

E Silvio Orlando, nel celeberrimo monologo, non riesce a farci sentire “tutti uguali”, tutti esseri umani che soffrono nello stesso modo. Certo Silvio Orlando non è Al Pacino, ma durante lo spettacolo sembra che lui stesso sia poco convinto della parte affidatagli. O forse il regista non ha scelto bene l’attore protagonista, che infatti protagonista non diventa né durante il monologo né durante il processo ad Antonio. Troppo dimesso, quando chiede la libbra di carne di Antonio, per provocare disprezzo e orrore in noi. Troppo umiliato e vinto, quando perde tutte le sue ricchezze,  per farci provare compassione. Forse solo per un attimo lo spettatore prova empatia con lui: quanto lo si costringe a baciare il crocifisso.

Per il resto la colonna sonora è azzeccata, la scenografia, come sempre, ridotta all’essenziale ma efficace, i costumi sono ben scelti, dal pop anni 60 di Porzia e Nerissa (una sempre bravissima Merigliani)  fino all’eleganza misurata dei personaggi maschili. Solo Shylock rimane in scena, fin quasi alla fine,  con un impermeabile grigio, a marcare una diversità che non suscita, comunque, nello spettatore quella immedesimazione che Shakespeare avrebbe voluto.
Peccato. Con un’opera così attuale e piena di spunti di riflessione, Valerio Binasco avrebbe dovuto osare di più.


sabato 6 dicembre 2014

" Melbourne" un giallo... iraniano.



Film d'apertura alla Settimana Internazionale della Critica alla Mostra di Venezia, l'opera prima del regista iraniano Nima Javidi ha riscosso consensi e premi internazionali. In questi giorni è ancora in programmazione, anche a Roma e Milano purtroppo in poche sale, ma merita di essere visto.

Lontano dalle narrazioni "neorealistiche" iraniane, (le maglie della censura diventano sempre più strette...), "Melbourne" è piuttosto un giallo che mi ha ricordato l'atmosfera e la suspense di "Nodo alla gola", il capolavoro di Hitchcock.

La vicenda si dipana in un appartamento e nell'arco di una giornata: una giovane coppia di Teheran, Amir, interpretato da Payman Maadi, protagonista di "Una separazione", e Sara, impersonata da Negar Javaherian, ha deciso di trasferirsi a Melbourne. 
Fra mobili da consegnare al rigattiere, amici e parenti da salutare, oggetti da impacchettare, telefonate dall'Australia del collega di Amir, si insinua la presenza di un neonato. Il piccolo non è figlio della coppia, ma di vicini di casa che Amir e Sara a malapena conoscono: viene loro affidato dalla babysitter, che deve allontanarsi per un'emergenza.
Risucchiati dal caos dei preparativi, i due si dimenticano del neonato, che dorme placidamente sul loro letto matrimoniale. A un tratto Amir rompe maldestramente un vetro della porta della camera e si accorge che il neonato non si sveglia al rumore....

Da qui si scatena una ridda di accuse, scuse, sensi di colpa, tentativi di negare e nascondere l'accaduto, sia al padre del neonato, separatosi dalla moglie, sia alla babysitter, ritornata dopo ore. 
L'angoscia si fa sempre più insostenibile e lo spettatore si chiede, come nel film di Hitchock, quando "gli altri", parenti e amici della coppia, rigattiere e personaggi vari che entrano ed escono dall'appartamento, si accorgeranno di quanto è successo. E se e quando la giovane coppia avvertirà la polizia, dovendo così rinviare o rinunciare all'agognata partenza verso una vita nuova.

Una regia attenta, nonostante sia il primo lungometraggio dell'autore, e la straordinaria prova di entrambi gli attori protagonisti, fanno in modo che il film scuota la coscienza dello spettatore, indipendentemente da dove vive e in quali valori crede, E nella scena finale Amir e Sara, separatamente, sembrano chiederci: "Voi, al posto nostro, cosa avreste fatto?". 


mercoledì 1 ottobre 2014

Il Festival, cioè la Festa, no il Festaval del Cinema di Roma.






Finalmente abbiamo capito dove voleva arrivare Marco Müller l'anno scorso, nella conferenza stampa di presentazione del Festival del Cinema di Roma.
Aveva accennato, in modo pungente, a un Festival che voleva portare ad essere una Festa del Cinema per Roma, insomma più un Festaval che un Festival.
Ora lo svelamento: quest'anno abbiamo un Festaval che parte con la "Soap Opera" con Abatantuomo e chiude con "Andiamo a quel paese" di e con Ficarra e Picone; premia Tomas Milian con il Marc'Aurelio; organizza una retrospettiva su Mario Bava (ottima idea!)...
Insomma un Festaval che forse non riuscirà a diventare nazional - popolare, quello è solo il Festival di Sanremo, ma di certo sarà pop, vista anche la presentazione del film sugli Spandau Ballet (e la presenza degli stessi sul tappeto rosso).
La sottoscritta, che da ragazzina non aveva dubbi fra Duran Duran e Spandau Ballet, a luglio si è persa il concerto (gratuito) di Tony Hadley al Centro Commerciale Porta di Roma.
Forse mi vedrete in fila, dalle sette di mattina, come le ragazzine per "Hunger games" l'anno scorso... 


mercoledì 17 settembre 2014

" Dalla Laguna con amore. Festival di Venezia 2) "





Se per il film di Abel Ferrara su Pasolini il mio giudizio poteva essere riassunto in un "Sì ma con riserve", al primo lungometraggio di Michele Alhaique, regista italiano a dispetto del cognome, potrei mettere un bel "Ni".

Parliamo subito degli aspetti positivi, uno dei quali è senz'altro la presenza di Pierfrancesco Favino, che non si è limitato a ingrassare di una ventina di chili per girare il film, ma ha reso al meglio il protagonista. Mimmo è un gigante di pochissime parole, capace di estrema crudeltà fisica ma con il cuore di burro. E' costretto dallo zio (Ninetto Davoli) a riscuotere crediti con ogni mezzo, ma vorrebbe fare solo quello che è il suo vero lavoro: il capocantiere, il manovale, tanto capace da poter insegnare ad altri il mestiere.

Il regista ha lavorato ottimamente con gli attori, non solo con Favino ma anche con Claudio Gioè, e con la giovanissima Greta Scarano, così come con Adriano Giannini, il cugino Manuel, tanto logorroico e strafottente quanto Mimmo è silenzioso e servile.

La struttura del racconto è, purtroppo, abbastanza scontata, e dove vediamo un gigante dal cuore tenero, che deve consegnare una ragazzina nelle mani di un un depravato nullafacente, già sappiamo quale piega prenderà la storia. Questo uno dei limiti, la prevedibilità della vicenda e alcuni buchi nella sceneggiatura (perché non prendere subito i soldi? perché attendere alcuni giorni per rientrare nella casa che si sa presidiata?). E anche il finale, date le premesse, non può essere diverso.

Di positivo, oltre agli attori (a parte Ninetto Davoli, a mio parere fuori parte), l'ambientazione, la fotografia e la bella colonna sonora. Una ricerca "pasoliniana" (rieccoci) della spiaggia di Ostia e dei suoi abitanti, fra i quali la colf sudamericana di Mimmo: brava Iris Peynado, che si è lasciata invecchiare per il ruolo (assicuro, l'ho incrociata al Lido ed è ancora bellissima) di una donna determinata e, neppure tanto segretamente, innamorata di Mimmo.

E la fotografia, che ci rende i pensieri di Favino solo attraverso i suoi sguardi (non il sorriso che non appare mai), e la vulnerabilità che accomuna lui e la giovanissima Tania, nei pochi attimi di felicità al mare, sotto il sole.

Accattivante e particolare la colonna sonora: se con tutti questi elementi positivi si fosse lavorato sulla sceneggiatura, "asciugandola" da un eccesso di sentimentalismo, qua e là, nello stesso modo in cui ha lavorato Favino "scarnificando" il suo personaggio, certo avremmo avuto un ottimo film.

Nonostante tutto, essendo una fautrice del "Sosteniamo il cinema italiano quando merita", penso che il film valga la pena di un biglietto al cinema e....attendiamo Alhaique alla sua seconda prova!


venerdì 12 settembre 2014

" Dalla Laguna con amore. Festival di Venezia 1) "



Arduo confrontarsi con la vicenda umana, artistica e intellettuale di Pier Paolo Pasolini. Forse solo un regista italo-americano poteva mettersi alla prova, e solo un attore americano che vive in Italia da anni, come Dafoe, poteva calarsi in modo così "mimetico" nel personaggio Pasolini.
E pare di vedere sullo schermo proprio Pasolini muoversi nei suoi jeans attillati, con le camicie sgargianti, mentre parla (in inglese...) con i suoi interlocutori, quando incontra i suoi "ragazzi" o mentre gioca a pallone.
Almeno così sembra a me, che quando Pasolini morì ero bambina, e l'ho conosciuto solo attraverso i suoi libri, i suoi film e le interviste in tv.
E' riuscita l'impresa ad Abel Ferrara? Non completamente. Se davvero, come ha detto il regista in un'intervista, Dafoe ha recitato in inglese nei passaggi dove si sentiva meno sicuro in italiano (cioè durante quasi tutto il film, a parte qualche battuta in romanesco), perché anche gli attori italiani parlano inglese? Vada per l'intervista con Furio Colombo, che è bilingue, ma sentire Mastandrea parlare in inglese è lievemente straniante (e non per la pronuncia, quasi impeccabile).
E se la presenza di Ninetto Davoli nel film appare quasi doverosa, perché fargli impersonare proprio Eduardo De Filippo che, nei progetti di Pasolini, avrebbe dovuto essere attore in un suo film? E come mai Davoli parla in romanesco prima e poi alla fine in napoletano? Accanto a lui Scamarcio, che interpreta il giovane Ninetto Davoli, appare più credibile (ma parla in romanesco o in pugliese?).
Insomma questo pastrocchio linguistico non so se attribuirlo a una sciatteria, mascherata dalla genialità (presunta, effettiva?) di Abel Ferrara, o se sono errori che verranno poi recuperati nel doppiaggio. Per la cronaca, gli spettatori italiani, all'uscita del film nelle sale, sentiranno Pasolini parlare con la voce di Fabrizio Gifuni.

Abel Ferrara non aggiunge nulla di nuovo sulla morte di Pasolini, così come è pervenuta a noi nelle cronache giudiziarie. E non credo fosse nelle sue intenzioni farlo, nonostante alcune furbe dichiarazioni prima della presentazione del film al Festival di Venezia.

E nel complesso, stendendo un velo sugli errori linguistici e su alcune scelte attoriali poco convincenti, il film merita di essere visto. Soprattutto da chi ha amato e ama Pasolini, perché è lui che esce con forza dallo schermo, ancora così profondamente visionario e attuale insieme, cinico e spavaldo nelle interviste quanto profondamente fragile ed empatico nei rapporti umani.
E questo grazie a una interpretazione davvero straordinaria di Willem Dafoe.



martedì 13 maggio 2014

I consiglieri della fuffa.

...e poi c'è quella categoria di persone che, fortunate loro, non hanno mai letto un'inserzione né inviato un c.v. per cercare lavoro, né fatto colloqui, né tanto meno sono entrate in un'agenzia interinale o in un ufficio di collocamento. E nemmeno hanno un parente, un amico, un conoscente che abbia mai svolto un'azione di cui sopra. Fin qui non c'è niente di male, se non fosse che si ostinano a darti consigli su come cercare un impiego, costringendoti così a spiegare come funzionano, anzi non funzionano un'agenzia interinale o l'ufficio di collocamento. O che quando mandi dieci o cento c.v., rispondendo agli annunci di lavoro, nessuno ti scrive o ti telefona per ringraziarti o mandarti a quel paese, a meno che ti vogliano conoscere di persona.
E che se vuoi fare lo scrutatore o il presidente di seggio, durante le elezioni, è necessario essere iscritti a un albo e che no, non ci si può iscrivere agli albi due settimane prima delle elezioni, ma lo si può fare solo quando il Comune lo richiede.
Insomma cose abbastanza lapalissiane, per chi vive nel mondo reale.
Ma non per loro che, dopo le tue spiegazioni, continuano imperterrite a darti consigli su dove, come e quando cercare lavoro, con un sorrisetto sornione che maschera appena la commiserazione.
Perché, è ovvio, se non trovi lavoro forse è perché non sei tanto intelligente come credi.
Last but not least, alcune di queste persone si fanno anche pagare per elargire i loro preziosi consigli...

mercoledì 7 maggio 2014

...essere o non essere.... Seconda puntata: "Pornografia" con la regia di Luca Ronconi





Lo spettacolo, andato in scena al Teatro Argentina il mese scorso, è stata in assoluto la prima trasposizione teatrale del romanzo omonimo di Witold Gombrovicz, autore polacco: una scelta coraggiosa. Luca Ronconi non ha infatti creato una sceneggiatura per il teatro, ma ha mantenuto la struttura del romanzo originale, e gli attori infatti spesso ripetono, come per spiegare, le loro battute, a volte in prima persona, a volte in terza persona, con soggetto il proprio personaggio o un altro; a volte, ancora, esprimono ad alta voce, ma in prima persona,  i pensieri di un altro personaggio.
Una struttura narrativa complessa che, spiegata così, potrebbe far pensare a una eccessiva verbosità o prolissità dello spettacolo (che dura ben tre ore). Invece non vi è nulla di superfluo o ridondante. Lentamente l'evoluzione del rapporto fra i due protagonisti, Witold e Federico, avviluppa lo spettatore in una tela di ragno, lo incuriosisce fino ad attendere con loro il momento nel quale riusciranno a "catturare" le loro prede, i giovani ignari Enrichetta e Carlo.
Che cosa c'è di pornografico nel testo o nello spettacolo? Apparentemente nulla, ma è la pulsione dei due maturi protagonisti che, stanchi del loro rapporto, trovano nuova linfa osservando i due giovani, a diventare pornografica essa stessa. E dall'essere semplici "voyeur", in un crescendo di malcelata invidia per la giovinezza altrui e rabbia per la propria maturità (e vecchiaia incombente), i due uomini, non più contenti solo di osservare, vogliono che i due ragazzi si sentano attratti l'uno dall'altra.
Enrichetta è fidanzata con un giovane, la cui madre è "in odore di santità". Carlo vive fin da piccolo nella famiglia di Enrichetta come un fratello, ma i due si ignorano. Ma nulla può fermare Witold e Federico, ed ecco che, come in un teatro di burattini, i due riescono a muovere tutti i fili dei personaggi, in modo da ottenere l'effetto voluto. Non così facilmente come pensavano però, tanto che alla fine, per creare il legame fra i due ragazzi, arrivano a far compiere loro un omicidio gratuito. Solo a questo punto avverrà la catarsi di Federico (e l'orgasmo di Witold). 

Ma questo romanzo  pubblicato nel 1960 in Argentina, dove Gombrowicz viveva, e censurato in Polonia fino al 1986, è ancora attuale? Può suscitare interesse ed emozioni negli spettatori italiani di oggi? O abbiamo assistito alla messa in scena di un romanzo provocatorio, ma superato dai tempi?

Raramente ho visto un personaggio teatrale analizzare i propri e gli altrui sentimenti (e perversioni) così visceralmente e crudelmente, come un entomologo pazzo al microscopio. Così Witold ci porta a diventare tutti guardoni, mentre seguiamo gli stratagemmi suoi e di Federico, due uomini invecchiati che possono solo osservare, prima, la gioventù e la bellezza altrui (vorrebbero possederle entrambe, ma non possono), fino a sfruttarle e violentarle per provarne piacere. 

Terrore della vecchiaia e della morte, rimpianto per la bellezza e la gioventù perdute, vuoto esistenziale, noia, disinteresse totale per gli accadimenti esterni della società (il romanzo è ambientato nella Polonia della Seconda Guerra Mondiale). 
E ancora ricerca di un Qualcosa oltre i corpi e il sesso, dissacrazione iconoclasta dei dogmi cattolici, incarnati nel personaggio di Amelia, la madre "quasi santa" del fidanzato di Enrichetta, donna matura e ascetica, che viene scoperta a fare sesso con un giovanissimo e bellissimo ladro penetrato in casa. 
Questi temi vi toccano? Allora lo spettacolo di Ronconi vi avrebbe appassionato, come ha appassionato me e molti altri spettatori, che hanno sopportato pazientemente la riparazione di un meccanismo di una quinta inceppata, nella bellissima scenografia "animata", dopo appena dieci minuti dall'inizio dello spettacolo. 

E se pensate che sia una storia interessante ma assurda, quella di Witold e Federico, soffermatevi a osservare chi guarda molte trasmissioni televisive, dove i conduttori cercano di far fidanzare ragazze vistose con ragazzi ipertatuati, o donne mature con vecchi marpioni; o altre trasmissioni dove si manipolano imberbi ballerini e giovanissime cantanti che lottano con l'acne giovanile, in modo da farne dei divi (da una stagione). Pensate, pensate a cosa guardate e come guardate....

p.s. grazie per la pazienza nell'attesa agli affezionati lettori, purtroppo Roma (almeno per me) non è solo dolce vita, anzi non lo è quasi mai... 



mercoledì 23 aprile 2014

...essere o non essere.....Prima puntata



Questo post prende spunto da una breve riflessione di Gianfranco Cercone sul repertorio attuale del teatro italiano. Secondo Gianfranco i successi teatrali, nella stagione romana, sono soprattutto i "cavalli di battaglia" del nostro repertorio, come "La locandiera" con Nancy Brilli (ammetto, sono allergica al Goldoni fin dalla più tenera età, proprio a causa di una sovraesposizione a teatro di quel pezzo), o il "Rugantino", appena riproposto da Enrico Brignano (vivo a Roma da pochi anni, non ho mai visto l'opera dal vivo e....bé, pagare 80 euro per Brignano, che mi è anche simpatico, mi sono parsi eccessivi. In proporzione avrei dovuto pagare almeno 120 euro per lo spettacolo con Gabriele Lavia....).

Si domanda Gianfranco se il riproporre grandi successi, a scapito di novità, sia indice di una società teatrale "non sana" e di un pubblico abitudinario e conformista. Vorrei provare ad ampliare la riflessione sugli spettacoli in cartellone a Roma, anche di autori non italiani, a favore o meno della tesi sovraesposta ancora non so dirlo, riflettendo sui pochi (rispetto ai miei desideri) spettacoli che ho potuto vedere.

Per non annoiare i quattro o cinque lettori di questo blog, lo farò in un miniracconto a puntate. E partirò in senso anticronologico, vale a dire dall'ultimo spettacolo che ho visto settimana scorsa, "Pornografia" di Witold Gombrowicz, con la regia del maestro Luca Ronconi, in scena per pochi giorni al Teatro Argentina.
Commenti e suggerimenti da parte di chi legge sono, ovviamente, bene accetti.

mercoledì 16 aprile 2014

...tutto bene?...



Ogni volta che ti capita una tegola in testa o una bastonata sui denti, gli altri vedono che tu continui a stare in piedi, anzi riprovi a camminare: è ovvio che prima o poi va a finire che ti fanno la domanda e "si danno" la risposta da soli.
Hai perso di nuovo il lavoro? Un amico ti ha tradito o hai scoperto di essere cornuto? Si sono rotti contemporaneamente e definitivamente lavatrice, televisione e scooter? Hai sempre pagato le tasse e molto più dei tuoi ex capi, ma ti arrivano lo stesso le cartelle esattoriali di Equitalia? Hai fatto dieci esami diagnostici all'ospedale pagando da privato, perché altrimenti dovevi attendere un anno, e il tuo medico ancora non ha capito cosa c'è che non va? Il proprietario del piano di sopra ha deciso di restaurare tutto l'appartamento, ha eliminato le piastrelle del pavimento e sono tre mesi che lavora dalle otto di mattina alle otto di sera con il martello pneumatico e la mazza? La tua banca ti ha bloccato il conto corrente perché si sono persi, per l'ennesima volta, la tua firma su uno stupido documento?

Ma in fondo l'hai presa bene, no? Non stai soffrendo. E' solo questione di tempo e tutto andrà meglio. L'importante è avere un atteggiamento positivo.
E intanto sorridono, come per convincere se stessi prima di te. E allora fai sì con la testa, a denti stretti (arrivasse qualche altra bastonata nel frattempo). E' l'abitudine, sei una persona forte (anzi un superuomo), mica puoi cominciare adesso a dare capocciate nel muro per far capire quanto stai male...

sabato 22 marzo 2014

Meglio una supersegretaria oggi o un orango domani...






Arriva il giorno in cui ti viene confermato, da un'altra persona che non ci guadagna nulla a dirtelo, che è meglio essere un buzzurro fancazzista, ignorante e cafone, ma con un padre dal cognome importante, piuttosto che una persona che si impegna con scrupolo e passione, che ha sempre voglia di imparare e non evita di svolgere compiti che potrebbe rifiutare, adducendo laurea, diplomi, anni di esperienza....Una persona che lavora a testa bassa e con il sorriso, ma con l'unico neo, come una ex-collega le ha fatto notare, di non avere uno sponsor politico alle spalle.

E così, rieccomi a voi, nel mio ruolo preferito della disoccupata in cerca di impiego. Ben ritrovati/e a tutt* .