Settimana scorsa ho deciso di cucinare
un piatto in cui non mi ero mai cimentata: l’ossobuco, da servire con il
risotto alla milanese. Non ho mangiato carne per diversi anni e anche da giovane la mangiavo controvoglia (sarebbe lungo spiegarne i motivi…). Anche adesso che vivo a Roma, e mangio la carne più volentieri, non amo cucinarla. Per farla breve, al momento di preparare l’ossobuco, mi sono resa conto che non sapevo da che parte iniziare. Così ho cercato su vari siti internet e anche sui miei vecchi ricettari cartacei.
Nella mia
famiglia di origine (comasca) l’ossobuco lo preparava mia madre, che però lo
schiaffava nella pentola a pressione con le patate o i piselli e amen. Con il
risultato che, alla fine, io mi lamentavo perché nel piatto ritrovavo
l’ossobuco vuoto, senza il midollo. Ero già strana da ragazzina, odiavo la
carne ma andavo matta per il midollo dell’ossobuco, la cervella fritta, i
nervetti e altri alimenti che disgustano i bambini (e spesso anche gli adulti). A ogni modo seguendo le indicazioni, peraltro controverse, di un paio di siti, ce l'ho fatta.
Per il risotto alla milanese, invece,
non ho avuto alcun problema. Anche quello lo cucinava mia madre, preparava il
soffritto, buttava il riso nella pentola, faceva evaporare il vino e poi
diceva “Dacci un’occhiata tu” e si eclissava per svolgere altre improrogabili
faccende. Ma il risotto non è come la pasta, che la getti nell’acqua bollente e
poi la scoli quando ti pare cotta (semicit.) Il risotto è un lungo lavoro di attenzione e
amore, come il ragù di carne, la lasagna, le melanzane alla parmigiana con la
pasta. Insomma, anche se hai a disposizione il miglior Carnaroli e un buon
brodo di bollito, bastano un paio di minuti in più, troppo sale o poco burro, parmigiano poco stagionato, ed ecco che esce un risotto imperfetto.
Per questo motivo mio padre, quando si
degnava di essere a casa, tipo un sabato ogni tre settimane, se c’era il
brodo del bollito e voleva un risotto, chiedeva a me. Così il
risotto alla milanese, anche negli miei anni semi-vegetariani, è rimasto il mio
cavallo di battaglia.
Giovedì scorso non avevo il brodo di
bollito, in compenso c’era una bustina di zafferano biologico dei monaci di
Siloe (quella in Maremma, non a Gerusalemme). Che in effetti aveva un profumo e
un aroma straordinario; il Carnaroli non era dei migliori ma poteva andare
(diffidate di chi vi invita a cena e prepara il risotto alla milanese con il
parboiled, eretici!). Insomma il risotto mi è venuto bene, nonostante io sia piuttosto esigente, soprattutto con me stessa. A mezzogiorno avevo preparato l’ossobuco (per favore
non ditelo a Cracco…) e l’ho anche cosparso con la gremolada. Inutile spiegare
che quest’ultima nella pentola a
pressione di mia madre non è mai entrata. Nonostante le mie apprensioni quando
cucino qualcosa per la prima volta, l’ossobuco con il risotto non era malvagio, alla fine per
complimentarmi con me stessa ho fotografato il piatto completo e l’ho messo su
Instagram. E’ una cosa che non faccio mai, anche perchè non sono nè una chef nè una
foodblogger (e non mi interessa diventarlo).
Il pomeriggio del giorno dopo, che era
venerdì giorno di magro, ho scoperto che mio padre era improvvisamente morto
poche ore prima. E’ stato faticoso scoprire
come e dove, e ancor di più sapere se e quando si sarebbe svolto il funerale.
Anche qui le spiegazioni sarebbero lunghissime. Soprassediamo.
Diciamo che il giorno del funerale le
uniche porte aperte sono state quelle della chiesa della mia infanzia. Ho dovuto subire anche i consigli non
richiesti di chi, per affetto ma senza conoscere gli ultimi venti anni della
mia vita, mi istruiva su cosa fare. Il
peggio è stata una sceneggiata da funerale tipo “Divorzio all’italiana”, di una
persona che non mi è parente nè tantomeno amica, e che infatti si è guardata bene dall'avvisarmi che mio padre era morto. Ma i lutti tirano fuori il meglio dalle
persone sincere e generose d’animo, il peggio da quelle ipocrite e avide. In questi frangenti, chi ha una fede
trova conforto. Chi ha parenti affettuosi, riceve consolazione. La sottoscritta
è priva dell’una e degli altri.
Rimane il dubbio laico del perché l'ultima sera che mio padre era in vita, io abbia cucinato due dei suoi piatti preferiti.