giovedì 25 ottobre 2018

" L'ultimo risotto con ossobuco ".







Settimana scorsa ho deciso di cucinare un piatto in cui non mi ero mai cimentata: l’ossobuco, da servire con il risotto alla milanese. Non ho mangiato carne per diversi anni e anche da giovane la mangiavo controvoglia (sarebbe lungo spiegarne i motivi…). Anche adesso che vivo a Roma, e mangio la carne più volentieri, non amo cucinarla. Per farla breve, al momento di preparare l’ossobuco, mi sono resa conto che non sapevo da che parte iniziare. Così ho cercato su vari siti internet e anche sui miei vecchi ricettari cartacei. 

Nella mia famiglia di origine (comasca) l’ossobuco lo preparava mia madre, che però lo schiaffava nella pentola a pressione con le patate o i piselli e amen. Con il risultato che, alla fine, io mi lamentavo perché nel piatto ritrovavo l’ossobuco vuoto, senza il midollo. Ero già strana da ragazzina, odiavo la carne ma andavo matta per il midollo dell’ossobuco, la cervella fritta, i nervetti e altri alimenti che disgustano i bambini (e spesso anche gli adulti). A ogni modo seguendo le indicazioni, peraltro controverse, di un paio di siti, ce l'ho fatta.

Per il risotto alla milanese, invece, non ho avuto alcun problema. Anche quello lo cucinava mia madre, preparava il soffritto, buttava il riso nella pentola, faceva evaporare il vino e poi diceva “Dacci un’occhiata tu” e si eclissava per svolgere altre improrogabili faccende. Ma il risotto non è come la pasta, che la getti nell’acqua bollente e poi la scoli quando ti pare cotta (semicit.) Il risotto è un lungo lavoro di attenzione e amore, come il ragù di carne, la lasagna, le melanzane alla parmigiana con la pasta. Insomma, anche se hai a disposizione il miglior Carnaroli e un buon brodo di bollito, bastano un paio di minuti in più, troppo sale o poco burro, parmigiano poco stagionato, ed ecco che esce un risotto imperfetto.

Per questo motivo mio padre, quando si degnava di essere a casa, tipo un sabato ogni tre settimane, se c’era il brodo del bollito e voleva un risotto, chiedeva a me. Così il risotto alla milanese, anche negli miei anni semi-vegetariani, è rimasto il mio cavallo di battaglia.

Giovedì scorso non avevo il brodo di bollito, in compenso c’era una bustina di zafferano biologico dei monaci di Siloe (quella in Maremma, non a Gerusalemme). Che in effetti aveva un profumo e un aroma straordinario; il Carnaroli non era dei migliori ma poteva andare (diffidate di chi vi invita a cena e prepara il risotto alla milanese con il parboiled, eretici!). Insomma il risotto mi è venuto bene, nonostante io sia piuttosto esigente, soprattutto con me stessa. A mezzogiorno avevo preparato l’ossobuco (per favore non ditelo a Cracco…) e l’ho anche cosparso con la gremolada. Inutile spiegare che quest’ultima nella pentola  a pressione di mia madre non è mai entrata. Nonostante le mie apprensioni quando cucino qualcosa per la prima volta, l’ossobuco con il risotto non era malvagio, alla fine per complimentarmi con me stessa ho fotografato il piatto completo e l’ho messo su Instagram. E’ una cosa che non faccio mai, anche perchè non sono nè una chef nè una foodblogger (e non mi interessa diventarlo).

Il pomeriggio del giorno dopo, che era venerdì giorno di magro, ho scoperto che mio padre era improvvisamente morto poche ore prima. E’ stato faticoso scoprire come e dove, e ancor di più sapere se e quando si sarebbe svolto il funerale. Anche qui le spiegazioni sarebbero lunghissime. Soprassediamo.

Diciamo che il giorno del funerale le uniche porte aperte sono state quelle della chiesa della mia infanzia. Ho dovuto subire anche i consigli non richiesti di chi, per affetto ma senza conoscere gli ultimi venti anni della mia vita, mi istruiva su cosa fare. Il peggio è stata una sceneggiata da funerale tipo “Divorzio all’italiana”, di una persona che non mi è parente nè tantomeno amica, e che infatti si è guardata bene dall'avvisarmi che mio padre era morto. Ma i lutti tirano fuori il meglio dalle persone sincere e generose d’animo, il peggio da quelle ipocrite e avide. In questi frangenti, chi ha una fede trova conforto. Chi ha parenti affettuosi, riceve consolazione. La sottoscritta è priva dell’una e degli altri.


Rimane il dubbio laico del perché l'ultima sera che mio padre era in vita, io abbia cucinato due dei suoi piatti preferiti.