mercoledì 17 settembre 2014

" Dalla Laguna con amore. Festival di Venezia 2) "





Se per il film di Abel Ferrara su Pasolini il mio giudizio poteva essere riassunto in un "Sì ma con riserve", al primo lungometraggio di Michele Alhaique, regista italiano a dispetto del cognome, potrei mettere un bel "Ni".

Parliamo subito degli aspetti positivi, uno dei quali è senz'altro la presenza di Pierfrancesco Favino, che non si è limitato a ingrassare di una ventina di chili per girare il film, ma ha reso al meglio il protagonista. Mimmo è un gigante di pochissime parole, capace di estrema crudeltà fisica ma con il cuore di burro. E' costretto dallo zio (Ninetto Davoli) a riscuotere crediti con ogni mezzo, ma vorrebbe fare solo quello che è il suo vero lavoro: il capocantiere, il manovale, tanto capace da poter insegnare ad altri il mestiere.

Il regista ha lavorato ottimamente con gli attori, non solo con Favino ma anche con Claudio Gioè, e con la giovanissima Greta Scarano, così come con Adriano Giannini, il cugino Manuel, tanto logorroico e strafottente quanto Mimmo è silenzioso e servile.

La struttura del racconto è, purtroppo, abbastanza scontata, e dove vediamo un gigante dal cuore tenero, che deve consegnare una ragazzina nelle mani di un un depravato nullafacente, già sappiamo quale piega prenderà la storia. Questo uno dei limiti, la prevedibilità della vicenda e alcuni buchi nella sceneggiatura (perché non prendere subito i soldi? perché attendere alcuni giorni per rientrare nella casa che si sa presidiata?). E anche il finale, date le premesse, non può essere diverso.

Di positivo, oltre agli attori (a parte Ninetto Davoli, a mio parere fuori parte), l'ambientazione, la fotografia e la bella colonna sonora. Una ricerca "pasoliniana" (rieccoci) della spiaggia di Ostia e dei suoi abitanti, fra i quali la colf sudamericana di Mimmo: brava Iris Peynado, che si è lasciata invecchiare per il ruolo (assicuro, l'ho incrociata al Lido ed è ancora bellissima) di una donna determinata e, neppure tanto segretamente, innamorata di Mimmo.

E la fotografia, che ci rende i pensieri di Favino solo attraverso i suoi sguardi (non il sorriso che non appare mai), e la vulnerabilità che accomuna lui e la giovanissima Tania, nei pochi attimi di felicità al mare, sotto il sole.

Accattivante e particolare la colonna sonora: se con tutti questi elementi positivi si fosse lavorato sulla sceneggiatura, "asciugandola" da un eccesso di sentimentalismo, qua e là, nello stesso modo in cui ha lavorato Favino "scarnificando" il suo personaggio, certo avremmo avuto un ottimo film.

Nonostante tutto, essendo una fautrice del "Sosteniamo il cinema italiano quando merita", penso che il film valga la pena di un biglietto al cinema e....attendiamo Alhaique alla sua seconda prova!


venerdì 12 settembre 2014

" Dalla Laguna con amore. Festival di Venezia 1) "



Arduo confrontarsi con la vicenda umana, artistica e intellettuale di Pier Paolo Pasolini. Forse solo un regista italo-americano poteva mettersi alla prova, e solo un attore americano che vive in Italia da anni, come Dafoe, poteva calarsi in modo così "mimetico" nel personaggio Pasolini.
E pare di vedere sullo schermo proprio Pasolini muoversi nei suoi jeans attillati, con le camicie sgargianti, mentre parla (in inglese...) con i suoi interlocutori, quando incontra i suoi "ragazzi" o mentre gioca a pallone.
Almeno così sembra a me, che quando Pasolini morì ero bambina, e l'ho conosciuto solo attraverso i suoi libri, i suoi film e le interviste in tv.
E' riuscita l'impresa ad Abel Ferrara? Non completamente. Se davvero, come ha detto il regista in un'intervista, Dafoe ha recitato in inglese nei passaggi dove si sentiva meno sicuro in italiano (cioè durante quasi tutto il film, a parte qualche battuta in romanesco), perché anche gli attori italiani parlano inglese? Vada per l'intervista con Furio Colombo, che è bilingue, ma sentire Mastandrea parlare in inglese è lievemente straniante (e non per la pronuncia, quasi impeccabile).
E se la presenza di Ninetto Davoli nel film appare quasi doverosa, perché fargli impersonare proprio Eduardo De Filippo che, nei progetti di Pasolini, avrebbe dovuto essere attore in un suo film? E come mai Davoli parla in romanesco prima e poi alla fine in napoletano? Accanto a lui Scamarcio, che interpreta il giovane Ninetto Davoli, appare più credibile (ma parla in romanesco o in pugliese?).
Insomma questo pastrocchio linguistico non so se attribuirlo a una sciatteria, mascherata dalla genialità (presunta, effettiva?) di Abel Ferrara, o se sono errori che verranno poi recuperati nel doppiaggio. Per la cronaca, gli spettatori italiani, all'uscita del film nelle sale, sentiranno Pasolini parlare con la voce di Fabrizio Gifuni.

Abel Ferrara non aggiunge nulla di nuovo sulla morte di Pasolini, così come è pervenuta a noi nelle cronache giudiziarie. E non credo fosse nelle sue intenzioni farlo, nonostante alcune furbe dichiarazioni prima della presentazione del film al Festival di Venezia.

E nel complesso, stendendo un velo sugli errori linguistici e su alcune scelte attoriali poco convincenti, il film merita di essere visto. Soprattutto da chi ha amato e ama Pasolini, perché è lui che esce con forza dallo schermo, ancora così profondamente visionario e attuale insieme, cinico e spavaldo nelle interviste quanto profondamente fragile ed empatico nei rapporti umani.
E questo grazie a una interpretazione davvero straordinaria di Willem Dafoe.