mercoledì 14 ottobre 2015

"Il lungo sguardo" di Elizabeth Jane Howard, ovvero niente amore siamo inglesi.






Confesso che la curiosità verso questa scrittrice mi è nata dalla lettura di alcuni articoli, su giornali italiani e inglesi. Elizabeth Jane Howard nacque dal matrimonio fra un ricco commerciante di legnami inglese, incapace a gestire la sua attività, e una ballerina russa. La sua vita è attraversata da rapporti amorosi fallimentari, che comprendono molti amanti, una figlia quasi dimenticata a sé stessa, e tre matrimoni. L’ultimo dei quali, il più duraturo, con il già affermato scrittore Sir Kingsley Amis, padre di quel Martin che diverrà a sua volta scrittore.

Racconto queste brevi note biografiche, perché mi paiono importanti per capire il romanzo, ma anche le ragioni per le quali il suo talento letterario sia stato a volte discontinuo, ma ancor più spesso disconosciuto dai suoi conterranei. Grazie a Fazi Editore, finalmente possiamo leggere le sue opere anche in Italia.

Ho voluto cominciare a conoscere la Howard dalla lettura de “Il lungo sguardo”, pubblicato l’anno scorso, anziché dal primo volume de “La saga dei Cazalet” appena uscito. Pensavo, credo a ragione, che in questo romanzo siano racchiuse una buona parte della sua personalità e della sua filosofia di vita.

Il lungo sguardo” è il racconto, intessuto di riflessioni che a tratti diventano verità assolute, di un matrimonio della borghesia inglese. Raccontato però a ritroso, quindi non cronologicamente. La prima parte del romanzo inizia, come all’aprirsi del sipario a teatro, sui preparativi per un fidanzamento nel 1950: quello di Julian, il figlio della protagonista Mrs. Fleming. La fredda meticolosità con la quale sono descritte le relazioni fra la protagonista, il figlio e la figlia Deidre, e ancor di più fra la donna e il marito, sono un autentico capolavoro di sarcasmo e rassegnazione insieme.

La lettrice attenta si domanda subito come possa una donna essere così insensibile, specie nel giorno del fidanzamento del figlio (nella realtà, tutto ciò è possibilissimo, parlo per esperienza diretta). E la risposta a questa domanda diventa plausibile, fino a essere ovvia se non obbligata, quando arriviamo a leggere la quinta e ultima parte del romanzo. Ambientata nel 1926, ecco di fronte a noi una Mrs. Fleming che è tornata a essere Antonia, un’adolescente ingenua, inconsapevole della propria bellezza. Il padre, studioso, non si accorge quasi della sua presenza. La madre, quando non è impegnata a organizzare feste e partite di tennis nella villa di campagna, passa il tempo a mortificare la sua unica figlia.

Non è difficile immaginare che i due personaggi siano ispirati ai genitori della scrittrice. Se la non– presenza del padre della Howard è forse uno dei motivi della sua vita sentimentale tormentata, così l’anaffettività della madre, che le preferisce i figli maschi, è la causa della continua insoddisfazione dell’autrice verso le sue opere letterarie. Una ricerca dell’affetto e della stima dei genitori che non andrà a buon fine.

Ora, da quanto ho scritto fin qui, potrebbe sembrare un romanzo che descrive personaggi, molto british e molto snob, che passano le giornate cercando di divertirsi fra tennis, cavalcate, partite a carte, feste e amori clandestini. “Il lungo sguardo” è molto di più: quasi tutti i personaggi, sotto l’apparenza flemmatica e/o austera, covano passioni, che non sanno o non vogliono esplicitare. Elizabeth J. Howard qui è maestra nel descrivere la brace che si cela sotto la cenere, come solo gli scrittori (e le scrittrici) inglesi sanno fare.

Guardate come racconta il primo innamoramento della giovane Antonia: “Eccolo, dunque: il punto di non ritorno. L’istante estremo in cui una figura distante che viene verso di noi diventa riconoscibile, ci vede e viene vista; il punto da cui non si recede e bisogna per forza incontrarsi, soffrire o godere o manifestare la reciproca indifferenza. Lui era venuto lì per incontrarla e, nell’istante in cui si erano separati dalla folla, l’incontro era avvenuto.”

Uno splendido romanzo, che si può leggere d’un fiato come anche centellinando dialoghi, sguardi, pensieri inespressi. Lascia un retrogusto malinconico e amaro, come la vita vera. Consigliato a tutti, in particolare a giovani donne ancora indecise sul loro futuro, a donne (e uomini) che sono sposati o lo sono stati. Alle giovani coppie di fidanzati o ai novelli sposi…. meglio di no, se non come vademecum sugli errori da evitare.

Grazie davvero a Fazi Editore per questa bella scoperta, a Manuela Francescon per l’ottima traduzione. E ora avanti con  “Gli anni della leggerezza” primo tomo de “La saga dei Cazalet”.