martedì 26 maggio 2020

" Lezioni di disegno " di Roberta Marasco, e i segreti di una famiglia.










E' un bel romanzo corale " Lezioni di disegno " di Roberta Marasco, nel quale impariamo a conoscere Julia, Olga e Anna  subito dopo la morte della loro madre Gloria. Quattro donne e se già sarebbe difficile il rapporto fra le sorelle, qui le differenze caratteriali hanno sempre impedito una comunicazione diretta e sincera fra loro e la madre. Le tre sorelle si incontrano nella casa di Pedralbes, dove avevano vissuto con i genitori e dove è morta la madre. Alle tre sorelle si aggiunge April, che dalla madre Olga ha preso l'insofferenza per le regole e l'impulsività. 

La casa deve essere venduta e Julia, che dopo l'ennesimo rapporto sentimentale finito si ritrova senza casa e senza lavoro, si prende l'incarico di impacchettare tutti gli oggetti che erano appartenuti alla madre. La sorella Anna è troppo impegnata con le cene di lavoro del marito, Olga è indifferente, solo la nipote April le dà una mano.

Improvvisamente compare una foto, lasciata sul tavolo da una donna che ha fatto parte della vita di Gloria quando era giovane. Da quella foto Julia comincia a indagare per scoprire se la madre avesse avuto un segreto portato nel cuore fino alla morte. E questo segreto esiste, o meglio esisteva, e questa scoperta apre a Julia il mondo nel quale viveva la madre prima della nascita delle figlie: la Spagna post-franchista, le manifestazioni, la repressione. 

E' molto bello questo alternarsi fra i momenti i cui le sorelle e la nipote interagiscono, a volte litigano anche, e lo scorrere come un film della vita della madre. Il segreto che Julia riesce a scoprire è però legato a una rinuncia, che alla fine ricongiunge gli animi delle tre sorelle. 

A comprendere che la madre non era solo bon ton, bei vestiti e freddezza, a questo serve il segreto svelato, ma che c'era anche un'altra madre, e la chiave per scoprirla era proprio sotto gli occhi dell'intera famiglia, nel quadro dipinto dalla madre e appeso in salotto, sopra il tavolo da pranzo.

E' un bel romanzo questo della Marasco, che si legge con piacere per lo stile scorrevole, a tratti romantico ma mai zuccheroso o patetico. Un tentativo ben riuscito di scavare nella psicologia di cinque donne che hanno lottato e lottano per la loro indipendenza in tempi tanto diversi, ma sempre sullo sfondo della bellissima Barcellona.


" Lezioni di disegno " di Roberta Marasco, 288 pagine, Fabbri editore, disponibile sia in cartaceo sia in  ebook.








mercoledì 20 maggio 2020

" Per sapere la verità" di Maria Masella, e di come si uccidono i matematici.






Un noto professore universitario di matematica viene trovato morto in casa sua e l'indiziata principale è la moglie, che è stata la prima a scoprire il cadavere. Prende così l'avvio " Per sapere la verità " di Maria Masella, scritto dall'autrice alla fine degli anni '80 e poi rieditato e proposto ai lettori dagli Fratelli Frilli Editori qualche anno fa. 

Per prima cosa il romanzo non ha sofferto il passare degli anni, anzi, la mancanza di cellulari e pc e una certa patina di bon-ton in tutti i protagonisti lo rendono molto gradevole da leggere. 

Il romanzo è ambientato a Genova, e chi la conosce o ci vive vi troverà molti scorci ritratti. Lo stile di Maria Masella è classico, nel senso migliore del termine, e viene utilizzato per creare un giallo psicologico che è da una parta avvincente, con una suspence adeguata, dall'altra si sofferma a ragionare sul matrimonio, e non solo su quello della vittima, e in genere sui rapporti umani.

Si prova una immediata simpatia per la protagonista, anche quando, avanzando nelle pagine, sembra sempre più probabile che sia lei l'assassina. Stanca di essere cornificata dal marito, un uomo geniale, simpatico, sportivo, bello, ricco, mentre lei è solo una mediocre, in tutti i sensi, insegnante di matematica alle superiori.

Ma il commissario incaricato delle indagini ha pazienza nel seguire i suoi tergiversare e le sue amnesie, e si arriverà così al colpevole che non vi svelo.

Una bella scoperta Maria Masella, che sapevo essere brava scrittrice di gialli. Questo è il suo primo che leggo ma non sarà certo l'ultimo.




" Per sapere la verità " di Maria Masella, Fratelli Frilli Editori, 216 pagine da leggere in ebook o cartaceo.




domenica 10 maggio 2020

Intervista a Raul Montanari realizzata per MilanoNera.








Raul Montanari, in libreria con "La seconda porta", Baldini + Castoldi Editore, ha cortesemente accettato di rispondere a qualche nostra domanda sul suo libro e sulla narrativa al tempo del Covid.


Nei tuoi romanzi c’è spesso l’incontro –scontro fra un adulto e alcuni adolescenti, tanto che io considero i tuoi libri anche dei romanzi di formazione. Perché in quest’ultimo hai scelto di narrare di adolescenti arrivati in Italia con i barconi?

La narrativa dovrebbe sempre cercare di raccontare il generale dentro il particolare, proporre storie che abbiano alle spalle qualcosa di più grande. La “seconda porta” della casa del protagonista, attraverso la quale entra un adolescente magrebino in fuga, è l’emblema dell’Italia, porta di accesso impossibile da chiudere in faccia ai migranti.

Il protagonista Milo, un pubblicitario di successo che si occupa di campagne sociali, prova una sorta di supremazia “etica” sul suo socio Pietro, che si occupa invece delle campagne normali, quelle “che portano soldi”. E’ solo una mia impressione, almeno all’inizio del romanzo?

L’atteggiamento di Milo somiglia a quello di uno scrittore adorato dalla critica che però vende poco, davanti a un collega che non è artisticamente alla sua altezza ma piace al pubblico. Per fortuna, però, l’enorme carica di autoironia di Milo (ai limiti dell’autodenigrazione) gli impedisce di diventare antipatico: più che un benefattore e un guru della comunicazione progressista, lui ha finito per considerarsi un procacciatore di alibi per chi vuole sentirsi buono e avere la coscienza a posto. È il tema etico alla base di tutto il libro: è davvero possibile fare del bene, nelle piccole cose e in quelle grandi?

La porta segreta che si trova nel nuovo appartamento che Milo acquista, non è forse un varco attraverso il quale si intrufola non solo Adam, ma anche tutti i pensieri negativi e il senso di insoddisfazione di Milo?

La porta è un simbolo della nostra ossessione di controllo. Noi facciamo la guardia a tutti gli accessi da cui possono arrivarci imprevisti: il nostro corpo, le nostre emozioni, il nostro lavoro, la nostra posizione nella società… ma ce n’è sempre uno che rimane sguarnito e da lì l’inatteso si fa strada. Non è detto che sia un male. La vita di Milo, prima dello sconvolgimento che viene a portargli Adam, che vita era? Irrigidita, ripetitiva, percorsa da crepe profonde (i sensi di colpa e di inadeguatezza, l’insonnia, l’alcol, il vizio notturno di cercare video atroci nel deep web, la sfiducia nel proprio lavoro, la mancata paternità, il rapporto inesistente con la famiglia…). Quando arriva Adam, arriva l’avventura! E la vita di Milo, finalmente, si rimescola e prende una nuova direzione.

Milo compie un doppio tradimento nei confronti dell’amico Luca Pandoro: non gli racconta la storia di Adam e non gli rivela che è nascosto a casa sua. Luca è forse l’unico personaggio visceralmente buono nel romanzo: essere traditi è forse il destino di tutti i buoni?

È verissimo quello che dici. Aggiungerei che Milo è un traditore nato. Oltre all’amico tradisce la sua ex moglie quando questa gli chiede di avere un figlio, tradisce la fiducia del suo socio nell’agenzia pubblicitaria, tradisce lo stesso Adam quando la storia si avvia verso il finale che non vogliamo rivelare. Tradisce Vera, la giovane architetta di cui si sta innamorando, quando le nasconde la presenza di Adam, ma prima ancora quando mortifica l’orgoglio professionale della ragazza perché lui vuole ben altro da lei. D’altronde ha tradito anzitutto se stesso, i suoi ideali di quando era ragazzo, ciò per cui ha studiato e lavorato.

E’ incredibile come Milo non si ponga mai dei dubbi sulla storia di Adam: è il suo senso di paternità mancato a renderlo, a tratti, così ingenuo?

Certamente sì, però la storia di Adam mi sembra anche molto verosimile. In un certo senso si potrebbe dire che nella Seconda porta la narrazione procede al ritmo con cui Milo scopre le bugie (poche ma fondamentali) che Adam gli ha raccontato: sono queste rivelazioni progressive a introdurre le svolte, i colpi di scena. A parte questo, l’omosessualità di Adam crea fra lui e Milo una relazione asimmetrica: Milo vede in Adam il figlio che non ha avuto, Adam vede in Milo (almeno all’inizio) l’ideale di un amante maturo, affascinante, duro ma protettivo. Sono come due che vorrebbero abbracciarsi ma non ci riescono, afferrano l’aria.

Il personaggio di Ric Velardi ormai è una conoscenza fissa per i tuoi lettori, ma in quest’ultimo libro ha un compito davvero sgradevole: gli hai affidato le sorti di Adam. Perché a lui?

Velardi è un personaggio così particolare che è stato definito in molti modi. Anzitutto è un detective anomalo, perché non è mai il protagonista delle storie: interviene solo da un certo momento in avanti ed è sempre descritto dall’esterno, non sappiamo nulla dei suoi pensieri. Sembra che venga da un altro pianeta. È un deus ex machina capace di risolvere i nodi “noir” delle vicende, ma non risolve mai quelli esistenziali del protagonista: addirittura li aggrava, li mette a nudo. Quando è comparso la prima volta nel 2009, nel romanzo Strane cose, domani che considero uno dei miei migliori, non pensavo che sarebbe tornato. La sua originalità sta nel fatto che combina due aspetti contraddittori. Da una parte sembra dotato di qualità davvero divine, come onniscienza e onnipresenza. Dall’altra è un dio improbabile, comico e quasi grottesco (quell’impermeabile, la salsa di soia in tasca, il tic che lo tormenta…), un dio minore, diciamo. È il vicino di casa che tutti vorremmo avere, o forse il fratello maggiore, quello che ci risolve i problemi, ma con qualcosa di misterioso e inafferrabile. Nemmeno io so chi è Velardi… non so nemmeno da dove è arrivato! Una curiosità: compare anche nel romanzo Nero a Milano del mio caro amico Romano De Marco.

E’ abbastanza sintomatico che Milo desideri raccontare subito la vicenda di Adam non a Vera, di cui si sta innamorando, ma alla ex compagna Elisa: è come se volesse dirle “vedi, potevo essere un buon padre.”

Hai ragione. Credo che il momento in cui Milo, esausto dopo tutte le emozioni che ha provato, prende il telefono e fa il numero di Elisa sia forse una delle cose più belle del libro, perché è un momento di verità. Prima di sentirsi libero di amare Vera, Milo deve chiudere i conti con questo passato tenace, ostinato, che gli è rimasto attaccato addosso.

Al posto di Milo, avresti denunciato Adam?

No, mi sarei comportato proprio come lui. In generale, per me immaginare un protagonista significa mettermi nella sua situazione, come in un gioco di ruolo o in un set di realtà virtuale, e domandarmi: io cosa farei? Il protagonista delle storie che scrivo sono sempre io, il divertimento è proprio quello di mettermi alla prova infilandomi dentro corpi, identità, vite che non sono la mia. D’altronde si è detto che chi non legge vive solo la propria vita, mentre chi legge vive tutte le vite dei personaggi che trova nei libri. Vale anche per chi scrive.

Milo aiuta economicamente Adam, in fondo si tratta di una paternità “a distanza”. C’è spazio in lui, adesso, per un figlio?

Milo non avrà mai un figlio. Come me, d’altronde. Si accontenterà di fare il padre con i giovani creativi della sua agenzia, come io lo faccio con i giovani autori che da più di vent’anni vengono alla mia scuola di scrittura.

Secondo te esistono uomini che non hanno avuto figli che sentono, al pari delle donne, un senso di vuoto, di inadeguatezza, di mancanza di stimoli per il futuro?

Questa è una bellissima domanda. Per quello che ho osservato in me stesso e negli altri non c’è paragone fra l’impulso alla maternità e quello alla paternità. Il corpo di una donna è, sul piano biologico e fisiologico, una macchina per riprodurre. È impossibile che una donna non senta profondamente, dentro di sé, questo senso del corpo che la spinge a immaginare la maternità fin da bambina, a fare i conti con essa – il che non toglie che possa scegliere di non essere madre. Direi che invece i maschi si dividono in due gruppi: la maggior parte di loro ha un desidero di paternità più o meno intenso, ma ce ne sono molti che fanno figli solo perché questo è il desiderio della donna che hanno accanto… salvo poi magari innamorarsi del cucciolo.


Tu dici che la letteratura dovrebbe sempre cercare di raccontare il generale dentro il particolare, pensi che questa situazione di pandemia con annessa quarantena, possa in qualche modo cambiare la prospettiva? Intendo, in una situazione in cui tutti stiamo più o meno vivendo la stessa realtà, non sarebbe normale per la narrativa concentrarsi sul particolare?

Sì, nel senso che siamo abbastanza sicuri che quello che capita a uno di noi capita a tutti. Quindi è più che mai verosimile l’idea che raccontare semplicemente qualcosa di personale abbia un valore rappresentativo generale.



MilanoNera e la sottoscritta ringraziano Raul Montanari per la disponibilità