giovedì 31 marzo 2016

TEATRO VERSUS FEDE a) “ Lourdes ” ovvero la conversione come miracolo drammaturgico.





Nel periodo pasquale mi è capitato di riflettere su due spettacoli che più diversi non si può, entrambi rappresentati e visti al Teatro dell'Orologio. L'unico aspetto che li avvicina è il rapporto con il Divino o, se preferite, con il Sacro. A dire la verità volevo creare una specie di ring pugilistico, dove fare "combattere" virtualmente i due spettacoli, ma ho avuto paura che qualche critico teatrale vero e serio, come pure qualcuno delle persone coinvolte nei due spettacoli, venisse a cercarmi per....prendermi a male parole. 

In fondo sono solo una spettatrice curiosa e attenta, come alcuni di voi che leggete. E quelli che leggono soltanto, sarebbe ora che cominciassero ad andare a teatro, perché non è che sono qui a scrivere tanto per farvi passare il tempo. Ora basta con il preambolo, leggetevi cosa ha suscitato in me il primo spettacolo. Il secondo? Intanto meditate su questo....


La pièce teatrale "Lourdes" è un adattamento del regista Luca Ricci dall'omonimo romanzo d'esordio di Rosa Matteucci; è lo spettacolo vincitore de "I teatri del sacro 2015". Una donna, Maria Angulema, Andrea Cosentino, è in mutande, su un rialzo sopra il palcoscenico; c’è una  sedia e sullo schienale sono appesi alcuni indumenti. Maria li usa per vestirsi come dama della carità. Deve accompagnare a Lourdes, in pullman, un gruppo di malati e anziani di Orvieto. 

Lo spazio scenico è diviso in due: una parte sopraelevata dove Andrea Cosentino/Maria Angulema narra in un flusso inarrestabile, con un verace accento umbro, la sua esperienza come dama di carità, il suo incontro con le persone del gruppo e il pellegrinaggio a Lourdes. Sotto il sopralzo Danila Massimi,  con voce e strumenti dal vivo, sembra richiamare Maria e gli spettatori a un “altrove”, che non è né narrato né rappresentato, ma irrompe a tratti nel racconto. Il monologo di Maria tratteggia i vari personaggi in modo comico, sarcastico, sfiorando a volte il cinismo: è grazie a questo sguardo disincantato che scopriamo l’umanità varia di chi partecipa a un pellegrinaggio a Lourdes.

Ma c’è una dimensione altra, appunto, che è quella del divino, o meglio della ricerca di un Dio che deve dare una risposta a tutti quelli che vanno alla Grotta: perché sono al mondo? Perché soffro? Perché, nel caso di Maria, mio padre è morto? Danila Massimi, con voce e suoni mistici, a volte quasi arcaici, pare ricordare alla protagonista che esiste un “senso” del suo pellegrinaggio e del suo dolore, così come esiste un senso per il dolore di tutti gli altri.

Nello spettacolo c’è una desacralizzazione apparente del luogo narrato e anche dei simboli sacri: quando Danila canta o suona, Andrea/Maria interrompe il racconto e beve da una Madonnina di plastica, una di quelle che i pellegrini usano per riempirla di acqua santa. Pare quasi che tutto il narrare di Maria sia teso a cancellare negli spettatori l’idea dell’esistenza di Dio.

Tutto il cinismo di cui la narrazione è pervasa provoca negli spettatori dapprima una risata, e poi un sentimento di empatia per Maria e per chi sta accompagnando. Un cinismo che non è altro che uno scudo, con il quale Maria vuole proteggersi dal dolore per una morte, quella del padre, che reputa insensata.

E’ all’interno delle piscine che tutte le difese di Maria cadono. Sana tra i malati, dubbiosa tra i credenti, ecco che davanti al mistero del sacro si compie in lei il vero miracolo: l’accettazione del dolore. E solo accettando il mistero del divino, il dolore e la vita stessa riacquistano significato.

Non so quanti tra gli spettatori del Teatro dell'Orologio siano mai stati a Lourdes: io ci sono stata tre volte, circa 25 anni fa, da pellegrina e da guida di gruppo. Difficile non ridere di fronte alle miserie umane dei personaggi che Maria incontra, perché davvero sono caratteristiche rilevabili fra i partecipanti a quella drammaturgia fra il sacro e il profano che si svolge intorno alla Grotta di Massabielle.

Da credente, quale ero, ho provato a volte la stessa irritazione, ma anche la stessa pena, malcelata, di Maria verso persone che spesso non avevano mai visto altro che il proprio paese. Lourdes era quindi per loro un pellegrinaggio, ma anche un’occasione mondana, un viaggio in una realtà diversa dal quotidiano triste e greve. Anche io sono stata nelle piscine, con lo stesso scetticismo e paura che prova Maria. E alla fine mi sono immersa in un mistero che non si può narrare.


Questo è il punto dove avviene lo scarto nella narrazione di Maria e nello spettacolo, dove l’uomo non può più spiegare, ma si deve arrendere a un mistero superiore, che lo accoglie e lo consola. E la resa di Maria, simile a una conversione, è perfettamente plausibile seguendo tutta l’evoluzione del racconto.




giovedì 17 marzo 2016

" Sherlock Holmes e il mastino dei Baskerville " e di come un classico possa diventare moderno.





Lo spettacolo in scena al Teatro Stabile del Giallo è tratto da una delle opere più famose di Arthur Conan Doyle. La trama è nota: sir Charles Baskerville viene trovato morto. James Mortimer, il suo medico personale, teme che responsabile della morte sia un'orribile creatura, un mastino enorme che si aggira nella brughiera. La leggenda narra infatti che gli eredi della famiglia Baskerville siano oggetto di una maledizione, che li destina a una morte violenta. Per proteggere Henry, l'ultimo dei Baskerville tornato in Inghilterra per entrare in possesso dell'eredità dello zio Charles, il dottor Mortimer chiede aiuto a Sherlock Holmes.

L’inizio della pièce è fulminante nel suo dinamismo: il dualismo Sherlock Holmes/Watson è abilmente caratterizzato, segno di recenti suggestioni cinematografiche ben metabolizzate dalla regista Anna Masullo. Mentre Sherlock Holmes ragiona ad alta voce sugli effetti della cocaina, e ne dà una dimostrazione pratica piroettando a torso nudo sul palco, Watson lo aiuta a ragionare e a calmarsi. 

A questo punto entra in scena il dottor Mortimer, che inizia a leggere la lettera che spiega la leggenda del mastino dei Baskerville. Ho trovato molto suggestiva l’idea di narrare la leggenda attraverso un video, anziché farla raccontare, e questo artificio drammaturgico avvolge gli spettatori nell’atmosfera noir, quasi gotica del racconto. Altra scelta intensa e originale è il cambio scena successivo, quando Holmes, che rimane a Londra, resta solo sul palcoscenico e suona il violino: dietro di lui si intravedono le sagome dei quattro personaggi che incontreremo nella dimora dei Baskerville,  mentre seguono “fisicamente” la partitura musicale. 

La scenografia essenziale non cambia dalla casa londinese di Holmes alla dimora nella brughiera, salvo i quattro ritratti di altrettanti membri dei Baskerville, quadri che scendono dall’alto resi inquietanti dalla luce che ne illumina il volto. Notevole la scelta di utilizzare di nuovo la tenda/porta, dove si era visto scorrere il video della leggenda, per illuminare la scena con un camino, come per rendere in modo psichedelico la visione dell’incubo che sogna Watson. 

Il mastino non si vede mai, ma la sua presenza inquietante e quasi sovrannaturale è ben chiara a tutti gli spettatori: il suo ululato più volte terrorizza e pietrifica i presenti in sala. Da notare che fra gli spettatori, domenica scorsa, c’erano una cinquantina di ragazzini della adiacente scuola media, tutti attenti e con il fiato sospeso fino alla fine.

Non aggiungo altro, perché sempre di un giallo si tratta, se non che le musiche originali di Carlo Venezia sono azzeccate, bellissimi i costumi d’epoca di Francesca Mescolini. Complimenti soprattutto ad Anna Masullo, al suo esordio come regista: ha vivacizzato e modernizzato uno fra i testi più classici fra i classici del giallo. Bravi tutti gli attori, da parte mia ho particolarmente apprezzato Alessandro Parise, uno Sherlock Holmes energico e magnetico nelle capriole sul palco come nelle apparizioni a sorpresa, Mauro Racanati, un Watson misurato e in sintonia con il co-protagonista, e Andrea Ruggieri nel ruolo dell’elegante e scettico dottor Mortimer. 





giovedì 10 marzo 2016

" Dimmi il tuo segreto " di Lucy Whitehouse, ovvero conosci bene chi dorme al tuo fianco?






"Dimmi il tuo segreto" è il terzo giallo di Lucy Whitehouse, scrittrice che vive a New York ma è nata e cresciuta in Inghilterra. 

Nel titolo originale del libro "Before we met" (Prima che ci incontrassimo/prima del nostro incontro N.d.a.) è racchiuso il nucleo della storia. Hannah, la protagonista, è una ragazza inglese che vive a New York e lavora nel campo della pubblicità. A casa di amici conosce Mark, inglese anche lui, bello, ricco e imprenditore di successo pur essendo ancora giovane. In pochi mesi i due decidono di sposarsi e di tornare a vivere a Londra, dove ha sede la società di Mark.

Sappiamo tutti, però, che i principi azzurri esistono solo nelle favole. Un giorno Hannah va a prendere Mark, di ritorno da un viaggio di lavoro, all'aeroporto di Heathrow. Lui però non scende dall'aereo, e nemmeno da quello successivo, e non risulta raggiungibile al cellulare.

A questo punto prende le mosse un thriller che, sulle prime, si delinea come un giallo psicologico: Hannah è tormentata dai dubbi, si chiede se davvero conosce bene l'uomo che ama, che ha sposato da pochi mesi e per il quale ha abbandonato lavoro e carriera a New York. Da una parte Hannah non vuole fare la fine della madre, che ritiene responsabile della fine del matrimonio con il padre per la sua immotivata e patologica gelosia. Dall'altra la giovane comincia a investigare da sola, e scopre avvenimenti molto importanti e negativi nella vita passata di suo marito, sui quali lui ha mentito. 

Si arriva a un punto di svolta quando Mark finalmente riappare a Londra. Hannah lo costringe ad ammettere tutte le sue bugie. Ma.... niente è come sembra, e qui il giallo psicologico cambia ritmo e assume un tono quasi noir, avvolgendo la lettrice in un vortice di tensione e terrore davvero ben costruito. 

Non aggiungo altri particolari della storia,  perché sempre di un giallo si tratta. Due punti di forza di questo libro, oltre alla suspense in crescendo, sono, in primo luogo, la descrizione quasi minuziosa, ma per niente noiosa, di Londra, delle sue vie, stazioni della metro, parchi e palazzi. Per chi è innamorato della capitale inglese, come la sottoscritta, pare davvero di respirarne l'aria insieme alla protagonista. In secondo luogo l'analisi psicologica di Hannah, una giovane donna che vediamo maturare faticosamente e diventare sempre più sicura di sé pagina dopo pagina.


Il libro è uscito nel gennaio 2016 per la Newton Compton Editori ed è disponibile sia in cartaceo sia in ebook   vedi qui