mercoledì 26 agosto 2015

“Ricordami così“ di Bret Anthony Johnston, il miglior romanzo che abbia letto quest’anno.






Lo so che siamo “solo” alla fine di agosto, ma “Ricordami così” di Bret Anthony Johnston è un romanzo talmente particolare e coinvolgente, con una scrittura così intensa e insieme priva di orpelli, che temo rimarrà fino a dicembre il romanzo più bello che io abbia letto quest’anno.

Se siete appassionati di serie Tv americane, il soggetto è molto sfruttato: Justin, un ragazzino di undici anni, scompare nel nulla in una cittadina costiera del Texas. L’autore è davvero abile nel descrivere, intimamente, come ciascuno dei componenti della sua famiglia, il padre Eric e la madre Laura, il fratello Griff e il nonno paterno Cecil, cerchi di sopravvivere a questa devastante tragedia. Ecco alcuni pensieri del padre, nel momento in cui saluta la sua amante dopo un fugace incontro: “Come sempre, quando era sul punto di accomiatarsi da lei, si sentiva sollevato e allo stesso tempo pieno di vergogna….Aveva la sensazione come di qualcosa che venisse cancellato, come se il tempo che trascorrevano insieme lo lasciasse rimpicciolito, lo riducesse a un nucleo essenziale da cui doveva partire per ricostruire se stesso.”

Come avrete capito da questo accenno, nessuno sconto per la famiglia Campbell, niente melensaggini o ritratti patetici: ognuno affonda in modo diverso, in un buco nero di angoscia, sensi di colpa, solitudine. Continuando a distribuire volantini con la faccia di Justin. Ma sentendo inconsciamente che Justin non c’è più, senza avere la forza di confessarlo l’uno all’altro.

All’improvviso, in un soffocante pomeriggio estivo, l’inaspettato miracolo: Justin viene ritrovato e restituito alla famiglia. Da questo punto si entra nel vero cuore della storia, attraverso quella porta che si chiude dietro la famiglia felicemente ricongiunta. Un “dopo” che nessun episodio di “Senza traccia “ o “Criminal minds” ha mai raccontato. Che cosa succederà ora alla famiglia Campbell?

Non era un compito facile quello di esprimere quali sentimenti ambigui e contrastanti scaturiscono nel nucleo famigliare. E poi c’è Justin. Dove è stato in questi quattro anni? Chi l’ha rapito e perché? Cosa ha dovuto subire in questo lunghissimo periodo, che l’ha trasformato da bambino quasi in un uomo, facendogli “saltare” l’adolescenza? Bret A.Johnston riesce benissimo nell’intento, senza alcun cedimento a curiosità voyeuristiche o a facili istinti giustizialisti. Perché il colpevole esiste e viene catturato, e ha, a sua volta, una famiglia.

E in questa cittadina dove si giustappongono spiagge da turisti e barche di pescatori, uomini che indossano e lucidano gli stivali anche d’estate e ragazzini che sfrecciano sugli skateboard, pesca di gamberetti e cura di delfini malati, anche la lettrice ipercritica si è lasciata avvolgere dalla suspense ben costruita e da una serie di dilemmi morali e/o filosofici che l’autore, correttamente, si guarda bene dall’esplicitare.

Ora viene il desiderio, essendo questo il primo romanzo di Johnston, di leggere anche la precedente raccolta di racconti “Corpus Christi”. E un “brava” anche a Federica Aceto, che ha tradotto ottimamente, senza alcuna sbavatura, il romanzo.



Il libro è uscito nel maggio 2015 per la Einaudi Stile Libero ed è disponibile in cartaceo vedi qui




giovedì 6 agosto 2015

"La ferocia" di Nicola Lagioia: luci e ombre nell'ultimo premio Strega.





Metto le mani avanti e inizio col dire che non è stato facile scrivere de " La ferocia ", a prescindere dal premio Strega, e infatti ho finito di leggerlo da vari giorni. 

Le difficoltà le ho incontrate già dalle prime dieci pagine: la descrizione minuziosa, quasi ossessiva di animali, in particolare di insetti, stava per farmi abbandonare la lettura. Ecco che Nicola Lagioia vuole creare analogie fra il mondo animale e il mondo umano che andremo a conoscere, ho pensato. Purtroppo ho iniziato " La ferocia " subito dopo aver letto i racconti di Sandro Bonvissuto: se avete letto quello che ho scritto nel post precedente, saprete che amo lo stile asciutto. Le frasi brevi. La riduzione al minimo delle descrizioni e degli aggettivi non necessari. Lo stile di scrittura di Nicola Lagioia è all'opposto: barocco, ridondante, quasi compiaciuto nel creare frasi complesse, costruite a volte come da sintassi della lingua tedesca. Quindi per me, all'inizio, una sofferenza non da poco leggere  " La ferocia "

Un esempio: per scrivere che una donna ha fra i 25 e i 35 anni, io scriverei più o meno quello che ho appena scritto. Nicola Lagioia descrive Clara così: (non sono la prima a citare questa frase): "Non era molto oltre la trentina, ma non poteva avere meno di venticinque anni, a causa dell'intangibile rilasciamento dei tessuti che trasforma la sveltezza di certe adolescenti in qualcosa di perfetto." Analizzando parola per parola la frase, cosa vorrà dire l'autore? Forse che dopo i 25 anni il tessuto delle donne, non più adolescenti, si rilassa e diventa perfetto? Ma una donna a quell'età ha lasciato l'adolescenza da parecchi anni. E perle così ne troverete disseminate nel romanzo. Per fortuna più la narrazione si fa serrata (non che diventi un vero noir), e più il linguaggio si "normalizza". Leggendo mi domandavo: ma Nicola Lagioia non insegnava scrittura creativa qualche anno fa? E insegnava a scrivere in questo modo? Se mi volete chiedere se ho mai letto qualche altra sua opera, vi rispondo sinceramente di no, e se il suo stile è sempre questo, non credo che ne leggerò altre. 

Ma allora perché sono arrivata fino alla fine? Ammetto la mia vulnerabilità: il personaggio di Clara, la 25-35enne, mi ha colpito, perché viene narrato dagli altri, non parla mai (e forse non capiamo davvero nulla di lei). Le storie di famiglie di provincia che arrivano al potere (di pezzenti arricchiti come si dice a Bari), mi affascinano: sono cresciuta nella provincia del profondo Nord, ma per metà ho radici baresi. Questo narrare concentrico e insieme ondivago verso il cuore della vicenda lo riconosco, dall'affabulare dei miei amici baresi di quando ero adolescente, e ci combatto con me stessa da anni. Per questo ho stretto i denti e sono andata avanti nella lettura. 

Mi piaceva questa famiglia Salvemini, a partire dal capostipite Vittorio, che si è fatto da sé, al figlio bastardo Michele, che finisce anche in manicomio (lo sapete che la Casa della Divina Provvidenza di cui tanto si parla, altro non è che l'ex manicomio di Bisceglie, una città nella città?). Poi il primogenito Ruggero, che rinnega l'impero del padre per diventare un oncologo famoso, salvo poi ritrovarsi nella "ragnatela" del padre. Una famiglia di anaffetivi, a partire dalla madre fino alla figlia più piccola, Gioia, due perfette s..... E Clara, più vittima che carnefice, in un turbinare di sesso, droga, affari, ricatti, dove forse qualcuno avrà letto l'eco di fatti di cronaca giudiziaria recenti (ma ormai persi dalla memoria collettiva) in quel di Bari. Io no. Io ho letto sola la storia di una famiglia di provincia, "perché la Puglia non è certo Bari", come dice un personaggio del romanzo. Certo di storie così ne sono state scritte tante altre, e usando uno stile più diretto e incisivo, da vero noir. Penso, ad esempio, al bellissimo "Nordest " di Massimo Carlotto e Marco Videtta, letto anni fa ma ancora vivido nella mia memoria. 

Ma Nicola Lagioia viene da Bari. Credo che una bella sforbiciata, o meglio, un lavoro di editing con la mannaia per eliminare cesellature e voli pindarici avrebbe giovato "assai" al romanzo. D'altra parte l'autore è anche editor di professione, e allora questo è il suo stile possa cambiare.

E chiedo scusa se questa recensione è involontariamente ambigua, ma dove la scrittura di Nicola Lagioia ha ferito, la trama ha affondato il coltello...