venerdì 28 giugno 2013

25 Settembre 1965 - Esterno giorno. Milano







Esterno giorno. Milano. Settembre inoltrato.                    
La spider procede a strappi, irrequieta, distratta. Ultimi lampi d’estate fendono a tratti il Castello Sforzesco. D’improvviso l’auto si impenna, svolta a destra e scalpita, poi a sinistra. Antonio ora è costretto a rientrare dall’altrove, perso, svanito, in ritardo. Appuntamento sfumato, indirizzo sbagliato, città ancora in vacanza, cuore senza locazione.
Rallenta, accosta, approda al marciapiede. Antonio guarda oltre il finestrino abbassato, la capote aperta, l’autunno non vuole arrivare, la camicia con le maniche arrotolate. Un bar aperto, non può che essere aperto, è l’ora dell’aperitivo, per accogliere i mariti soli, tornati dal mare, le magliette estive, senza giacca, stanchi di mostrare l’abbronzatura, la pelle avvizzita dal sole; le mogli ancora in vacanza con i bambini, e i mariti soli, per cena, alla trattoria vicino casa.
E’ quasi finito il mese, vorrei infilare la giacca, mettermi la cravatta, chiudere la capote perché piove, pensa Antonio. Invece scendo, maniche arrotolate, mi avvio lentamente, mestamente, senza motivo, verso il bar degli uomini soli, per l’aperitivo. Dalla porta a vetri di un negozio più avanti, una ragazza esce, assorta, sicura, la borsa scura, la tracolla appoggiata alla spalla, l'impermeabile, scarpe basse, comode, da pioggia.
Che strano, osserva Antonio, l’autunno per quella ragazza è già arrivato, cammina decisa, ha progetti, impegni, acquisti da fare. E poi assomiglia a Lucia, se Lucia fosse meno giovane, lontana, fuggita. Ma non può essere lei, pare dire una treccia nera, lunga, lucida, mentre ondeggia sull’impermeabile. 
E allora se non può essere Lucia…..la rincorre, le passa avanti, la ferma per un braccio, perché le mani magre, pallide, sono strette attorno a un sacchetto bianco. La ragazza guarda in volto Antonio, cosa vuole quest’uomo da me, non lo conosco, ho da fare, devo andare. Poi vede gli occhi, ricorda, è sorpresa, quasi si scusa. Antonio le stringe ancora il braccio, è l’ora dell’aperitivo, è settembre inoltrato, solo gli uomini girano soli per Milano, non hanno nulla da fare, alla trattoria sotto casa è presto per cenare.  Non può essere Lucia. Per questo la invita a bere un aperitivo, se non ha tempo anche un caffè;  non è ancora troppo tardi per un caffè prima di cenare.
Ma lei ha un appuntamento, prosegue per la sua strada, la mano di lui ancora stretta attorno al gomito, lui dietro, insiste, persiste, perde la pazienza. Solo Lucia può trattarlo così male. Intanto la treccia nera, lunga, lucida, si scuote ad ogni passo, scandisce: non sono Lucia, ho fretta, devo andare, non ho tempo per un aperitivo, non ti conosco, Antonio.

L’aperitivo si beve d’estate, le sere ancora chiare, gli abiti scollati, i sandali senza calze, i capelli appena lavati, lasciati asciugare all'aria. Perché d’estate, a Milano, l’aria è profumata, le mogli e i bambini non sono ancora tornati, magliette colorate, le auto rombanti lontane, i negozi dalle saracinesche abbassate. E i sandali senza calze, i tacchi alti affondano nel marciapiede, l’asfalto bollente, la voglia di immergersi in una coppa di gelato alla frutta, la panna morbida, fredda, anestetizza la lingua.
Ma le saracinesche abbassate, la cremeria chiusa, i tacchi affondano, il sudore scivola lungo la schiena, gli abiti smanicati, i capelli oramai asciugati, per fortuna c’è un tabacchino sempre aperto. Un tabacchino aperto anche ad agosto, dove vendono il cremino, il bastoncino incollato alla carta, umida fra le dita, correndo verso l’ombra, le ascelle bagnate, le gambe senza calze, abbronzate.
Questa è l’estate. Tempo di gelato, di corse con i capelli bagnati, di mogli lontane, di gambe nude, abbronzate, di storie sbagliate. Tempo di scherzi infantili, di giochi stupidi, di risate azzardate.
Ora la treccia nera, lunga, lucida, della ragazza che non è Lucia, si ferma. Guardati attorno, gli dice. Il tramonto sta per arrivare, tiepido, stanco, quasi a sussurrare: non è più estate.
I lampioni si accendono, l’asfalto si è raffreddato, l’aria sa di rimpianto, di ritorno, di storie cancellate. A breve torneranno le mogli con i bambini, in auto chiuse staranno i mariti, le camicie abbottonate, le giacche stirate. Sfileranno ancora i grembiuli di scuola, frusceranno i fiocchi inamidati, i bidelli agli ingressi parati, le saracinesche tutte alzate.
Ecco perché non ti conosco, Antonio, devo andare, ho da fare. Anche per me è finito il tempo di giocare.
Ma Antonio non sente, non vuole, non la lascia andare. Non è un grande sforzo, il tempo di un caffè, un pomeriggio di settembre inoltrato, è ancora troppo presto per cenare. La voce irrequieta si scalda, s’impenna,  comincia a gridare.

Se almeno fosse Lucia, la potrebbe stringere, costringere, rimproverare. Nemmeno si accorge che i mariti soli, silenziosi, lenti, escono dal bar dell’aperitivo per andare a cenare.
E senza pensarci, alza le mani, vorrebbe sciogliere la treccia nera, lunga, lucida, vorrebbe baciare i capelli bagnati, le gambe nude, abbronzate, i vestiti sbracciati. Vorrebbe sentire echeggiare i giochi stupidi, le risate azzardate, vorrebbe indietro le storie sbagliate.
Gli occhi della ragazza si accendono dalla paura, dalle dita scivolano via il sacchetto, l’impegno, le cose da fare. E insieme rotolano sul marciapiede, l’asfalto raffreddato, il lampione illuminato, un settembre inoltrato.
Antonio ha un sussulto, si calma, preme le mani sull’impermeabile aperto, sente il ventre, rotondo, scruta il viso spaventato. Distoglie lo sguardo, ha pena, vergogna, vorrebbe scappare. Vicino, per terra, il sacchetto finisce di rotolare, una scarpetta piccina, timida, rosa, scivola fuori e si lascia guardare. 
  

3 commenti:

gianclaudio ha detto...

Bello bello.
Brava!

Unknown ha detto...

piaciuto assai, soprattutto la narrazione corale dell'estate cittadina, chi sai tu et soci si sarebbero "scagliati" sul punto di vista leggermente "ondivago" e soprattutto......racchiuso nell'incipit non c'è in nuce l'opera completa, e allora??? :-)

amenteacida.blogspot.com ha detto...

ahahah, rido, scusa, perché proprio da quel libro di Buzzati,che chi sai tu e soci ci avevano costretto a leggere, nasce questo pezzo. In effetti suppongo di essere stata l'unica, o quasi, a leggerlo. Ho solo cambiato il nome della protagonista, ma è la fine mancante del romanzo. Devo dire che la cosa che mi interessava davvero era raccontare le estati di Milano, quella Milano che conosco meglio (per relata refero, visto che non ero ancora nata). Hai ragione, comunque, a "loro" non credo sia piaciuta... Però qualcosa ne potrebbe nascere, mi piace l'ambientazione, appena avrò tempo...