venerdì 12 settembre 2014

" Dalla Laguna con amore. Festival di Venezia 1) "



Arduo confrontarsi con la vicenda umana, artistica e intellettuale di Pier Paolo Pasolini. Forse solo un regista italo-americano poteva mettersi alla prova, e solo un attore americano che vive in Italia da anni, come Dafoe, poteva calarsi in modo così "mimetico" nel personaggio Pasolini.
E pare di vedere sullo schermo proprio Pasolini muoversi nei suoi jeans attillati, con le camicie sgargianti, mentre parla (in inglese...) con i suoi interlocutori, quando incontra i suoi "ragazzi" o mentre gioca a pallone.
Almeno così sembra a me, che quando Pasolini morì ero bambina, e l'ho conosciuto solo attraverso i suoi libri, i suoi film e le interviste in tv.
E' riuscita l'impresa ad Abel Ferrara? Non completamente. Se davvero, come ha detto il regista in un'intervista, Dafoe ha recitato in inglese nei passaggi dove si sentiva meno sicuro in italiano (cioè durante quasi tutto il film, a parte qualche battuta in romanesco), perché anche gli attori italiani parlano inglese? Vada per l'intervista con Furio Colombo, che è bilingue, ma sentire Mastandrea parlare in inglese è lievemente straniante (e non per la pronuncia, quasi impeccabile).
E se la presenza di Ninetto Davoli nel film appare quasi doverosa, perché fargli impersonare proprio Eduardo De Filippo che, nei progetti di Pasolini, avrebbe dovuto essere attore in un suo film? E come mai Davoli parla in romanesco prima e poi alla fine in napoletano? Accanto a lui Scamarcio, che interpreta il giovane Ninetto Davoli, appare più credibile (ma parla in romanesco o in pugliese?).
Insomma questo pastrocchio linguistico non so se attribuirlo a una sciatteria, mascherata dalla genialità (presunta, effettiva?) di Abel Ferrara, o se sono errori che verranno poi recuperati nel doppiaggio. Per la cronaca, gli spettatori italiani, all'uscita del film nelle sale, sentiranno Pasolini parlare con la voce di Fabrizio Gifuni.

Abel Ferrara non aggiunge nulla di nuovo sulla morte di Pasolini, così come è pervenuta a noi nelle cronache giudiziarie. E non credo fosse nelle sue intenzioni farlo, nonostante alcune furbe dichiarazioni prima della presentazione del film al Festival di Venezia.

E nel complesso, stendendo un velo sugli errori linguistici e su alcune scelte attoriali poco convincenti, il film merita di essere visto. Soprattutto da chi ha amato e ama Pasolini, perché è lui che esce con forza dallo schermo, ancora così profondamente visionario e attuale insieme, cinico e spavaldo nelle interviste quanto profondamente fragile ed empatico nei rapporti umani.
E questo grazie a una interpretazione davvero straordinaria di Willem Dafoe.



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