mercoledì 18 maggio 2016

"L'impostore" di Javier Cercas, ovvero una menzogna in cui tutti credono non è più una menzogna?







Di solito scelgo un romanzo mossa dalla curiosità per un autore che non ho mai letto, oppure per avere la conferma di un autore che già apprezzo. Ho deciso invece di leggere “L’impostore” di Javier Cercas, scrittore, giornalista e docente di letteratura spagnolo, perché volevo cercare di comprendere la psicopatologia di un impostore o mitomane, di un bugiardo seriale insomma. Categorie che vantano numerosi adepti (o affetti?) di entrambi i sessi. Ma ancora di più mi interessava comprendere quale fosse il meccanismo inconscio che fa cascare molti di noi, comuni mortali condannati alla sincerità, nella ragnatela dell’impostore o della mitomane di turno. 

Non potevo trovare migliore “romanzo vero”, e nel contempo “opera di finzione”, creata dal protagonista del romanzo stesso. Enric Marco, ultranovantenne di Barcellona ancora in vita, militante antifranchista, poi segretario del CNT, il sindacato anarchico spagnolo, in seguito presidente degli Amical di Mauthausen, l’associazione spagnola dei sopravvissuti all’Olocausto. Un uomo che ha attraversato settant’anni di storia spagnola come un eroe. Un impostore, come pubblicamente smascherato dallo storico Benito Bermejo nel 2005.

Javier Cercas ci racconta i suoi dubbi e la ritrosia, durata alcuni anni, a scrivere di Enric Marco. Poi, presa la decisione, eccolo lavorare come uno storico e un investigatore insieme: indaga, analizza documenti storici molto lacunosi, cerca e intervista testimoni. Tutto per poter comprendere e dimostrare se “veramente” (un avverbio usato spesso da Enric Marco nelle sue interviste) la vita del protagonista sia un cumulo di menzogne. Un romanzo con il quale Cercas non vuole né difendere né accusare Enric Marco, quanto piuttosto comprendere lui e analizzare le dinamiche di buona parte della storia spagnola del ‘900. 

La parte più interessante e affascinante del romanzo è proprio quella delle indagini storiche, molto meticolose, e delle interviste a Enric Marco. Scopriamo insieme allo scrittore che il protagonista è figlio di un padre alcolizzato, che non si è mai curato di lui, e di una madre pazza, tanto da essere nato in manicomio. Dopo essere vissuto con gli zii paterni, ha sì militato nelle file repubblicane, ma senza quegli atti di eroismo da lui raccontati. Sotto la dittatura franchista ha invece cercato di sottrarsi al servizio militare obbligatorio, offrendosi come operaio volontario per lavorare nella Germania nazista. Lì è stato brevemente imprigionato, ma in un carcere civile e non in un campo di concentramento.

Ma allora come è possibile che si sia fabbricato una vita “fittizia” da eroe antifranchista e da reduce del campo di concentramento di Flossenburg? E, soprattutto, come ha potuto prendere in giro per settanta anni familiari, colleghi, amici, giornalisti? Secondo l'autore tutto è stato possibile perché negli anni del passaggio dalla dittatura alla democrazia la Spagna è stato un Paese narcisista tanto quanto Enric Marco. La democrazia spagnola è stata costruita su una grande menzogna collettiva, formata da tante menzogne e omissioni personali. Il protagonista è sempre stato con la maggioranza della popolazione, o meglio ha raccontato quello che la maggioranza degli spagnoli voleva sentirsi raccontare.

Ritornando all’avverbio “veramente”, secondo l’autore bisogna veramente diffidare dei predicatori di verità, perché come l’enfasi sul coraggio smaschera il vigliacco, l’enfasi sulla verità denuncia il bugiardo. Enric Marco è stato un campione di narcisismo e di kitsch, lo strumento di cui si serve il narcisista bugiardo per il suo esercizio costante di occultamento della verità. Marco, come un novello Don Chisciotte, non vuole conoscere o riconoscere la verità per non conoscere o riconoscere se stesso, perché disprezza il suo vero “io”.

Ma esistono verità cattive e verità “buone” o bugie bianche? L’infaticabile, per quanto confusionario, lavoro di Marco a capo degli Amical di Mauthausen, non è forse servito ad aprire uno squarcio su un capitolo della storia spagnola di cui nessuno voleva parlare? E tutti i giovani che ha avvicinato e influenzato con i suoi discorsi carismatici, non gli sono debitori di una passione politica che forse non avrebbero sviluppato? 

Il discorso diventa più complesso e sfaccettato di quanto poteva sembrare iniziando a leggere il libro, soprattutto quando Marco, durante una delle interviste di Cercas, accusa lo scrittore di essere, come lui, un bugiardo e di voler scrivere il libro sulla sua vita solo per avere soldi e successo. Lo scrittore ammette, a se stesso e a noi lettori, che scrivere libri è una forma socialmente accettata di narcisismo, e a questo punto si apre uno spazio di metaletteratura: Cercas, come ogni scrittore, è un narcisista e utilizza la finzione, quindi è anche lui un bugiardo. 

Un libro davvero bello da leggere, sia per chi è appassionato di storia sia per chi non apre manuali della materia dai tempi del liceo. Una vicenda sulla quale Cercas lavora studiando il passato da scrittore, non da storico, perché condivide l’affermazione di Faulkner: il passato è soltanto una dimensione del presente. Un romanzo in cui si possono trovare numerosi spunti di riflessione personali, come anche interrogativi storici e politici che valgono sia per la Spagna franchista e post-franchista sia per l’Italia contemporanea.


Il romanzo, tradotto da Bruno Arpaia, è uscito l'anno scorso per la casa editrice Guanda, ed è disponibile sia in ebook sia in cartaceo   vedi qui .




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