“ La ferrovia sotterranea
” è il romanzo di Colson Whitehead vincitore lo scorso anno del premio Pulitzer e del National Book Award.
Nella Georgia della
prima metà dell’Ottocento, la giovane schiava nera Cora decide di tentare la
fuga dalla piantagione di cotone in cui vive e insieme all’amico Caesar inizia
un duro viaggio verso il Nord e la libertà. Cora e Caesar si servono di una
segreta e misteriosa ferrovia sotterranea, e fanno tappa in vari stati del Sud
dove la persecuzione dei neri ha forme diverse, dalle più simili alle
condizioni nelle piantagioni di cotone ad altre molto più subdole ammantate di paternalismo.
E’ singolare il motivo
della ferrovia sotterranea che, portando in salvo schiavi fuggiti dalle
piantagioni, attraversa il ventre degli stati del Sud. Forse metafora di una
coscienza nera che scorre sotto terra come un fiume carsico per poi emergere
molto lentamente cent’anni dopo. Oppure questa “Underground Railroad” (titolo
originale), esistita come rete clandestina di abolizionisti che, nella prima
metà dell’Ottocento, cercavano di far fuggire decine di migliaia di schiavi, è
stata dall’autore semplicemente “materializzata”.
Rendendola una creatura di
ferro, binari, vagoni e scambi, stazioni fantasma, Colson Whitehead ha
realizzato un romanzo storico e distopico nel contempo. Le vicende di Cora e
dei suoi compagni, nelle piantagioni prima e nella fuga poi, sono verosimili. E
altrettanto realistiche sono le figure dei bianchi, schiavisti crudeli e sadici
da una parte, la maggioranza, e pochi illuminati abolizionisti dall’altra, a
loro volta divisi fra ingenui idealisti e furbi paternalisti preoccupati dal sopravvento
numerico dei neri liberi.
Nonostante il romanzo
sia colmo di avvenimenti orribili e raccapriccianti, non è riuscito ad
appassionarmi o smuovere i miei sentimenti. E dire che a distanza di quasi 40
anni ricordo ancora con emozione la lettura di “Radici” (e la visione dello
sceneggiato omonimo), che lasciò un marchio a fuoco nel mio animo. A favore del romanzo ascrivo la mancanza assoluta di cadute nel patetico.
Al termine della
lettura di “ La ferrovia sotterranea ” ho avuto l’impressione che il romanzo sia
stato ideato e costruito dall’autore, con coerenza stilistica, come “libro
necessario”, e della sua necessità odierna negli Stati Uniti o nella nostra
Italia non credo sia necessario argomentare. Comprendo come molti lettori
afroamericani anche illustri ne siano stati toccati nel profondo, dall’ex
presidente Barack Obama a Ophrah Winfrey.
Tuttavia, a malincuore,
lo considero più un testo sociologico o pamphlet filosofico, in forma di romanzo,
ottimamente tradotto da Martina Testa, che un capolavoro letterario come
attesterebbero i vari premi conseguiti. Consiglio comunque la lettura a tutti, specialmente ai giovani.
“ La ferrovia sotterranea ” di Colson Whitehead, edizioni SUR, romanzo di 376 pagine splendidamente tradotte da Martina Testa, è
disponibile sia in versione cartacea sia in versione ebook.
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