domenica 3 marzo 2019

" In gratitudine " di Jenny Diski, ovvero della scrittura come cura e come arma al femminile.




Ho acquistato il libro di Jenny Diski all’inizio del 2018, perché Doris Lessing è sempre stata una dei miei scrittori preferiti e mi incuriosiva il punto di vista dell’autrice, che da adolescente aveva vissuto con lei. Nonostante questa curiosità, il libro della Diski è rimasto sul mio comodino con altri, in attesa per mesi. Dopo la morte di mio padre, alcuni mesi fa, ho sentito che " In gratitudine " mi chiamava (capirete perché se lo leggerete). Ma solo quando mi sono ritrovata con la stessa malattia dell’autrice, anche se non in forma così grave e drammatica, ho compreso che la lettura non poteva più essere rimandata. 

E mi sono trovata così di fronte a molto più di quanto mi aspettassi, in ogni senso. Jenny Diski, all’età di quindici anni, venne accolta in casa da Doris Lessing che ne diventò la tutrice. Era una ragazzina con due genitori anaffettivi, incapaci di darle una qualsiasi indicazione su come affrontare la vita. Jenny, nonostante la giovanissima età, aveva già collezionato alcune fughe da casa, un tentativo di suicidio e un ricovero in un ospedale psichiatrico. “Era un piccolo reparto di psichiatria in una grande villa, popolato per lo più da giovani, anche se nessuno era giovane quanto me. Diventai la trovatella ufficiale. Io ero affascinata, mi sentivo quasi a casa e finalmente accudita.” Difficilmente può risultare comprensibile quest’ultima frase a una persona che non è mai stata ricoverata in un posto simile, provenendo da una famiglia disfunzionale.

Questa è la ragazzina che viene accolta in casa dalla scrittrice già molto famosa, dietro suggerimento del figlio Peter che di Jenny era compagno di scuola. Doris Lessing pensava che Jenny avrebbe ripreso la scuola in collegio, così da doversi occupare di lei solo durante le vacanze estive. Ma le cose non andarono così. E la narrazione di Jenny ci mostra una Lessing molto diversa da quella che molti lettori, e soprattutto lettrici, possono immaginare. 

Io mi sono fatta un’idea su di lei come donna anche perché sto leggendo la sua autobiografia, pubblicata da Feltrinelli. Mi ha stupito il fatto che avesse portato con sé a Londra solo il figlio Peter, nato dal suo secondo matrimonio con Gottfried Lessing; gli altri due figli John e Jean, ancora piccoli, li lasciò in Rhodesia con il primo marito Frank. E se con i due figli del primo matrimonio Doris Lessing non ebbe praticamente più alcun rapporto, con Peter creò invece un rapporto simbiotico.

Un legame così totalizzante da non permettere mai a Peter di avere una sua vita indipendente, tanto che madre e figlio, dopo aver abitato sempre insieme, morirono a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro. “ A quel punto Peter era diventato diabetico, e un’infermiera della zona passava a fargli le iniezioni di insulina. Ma prima dell’ictus Doris gli dava esattamente le stesse cose che i diabetici non dovrebbero mangiare: cioccolato, budino al toffee, patate, zucche, stufati, torte…” uno dei tanti aneddoti narrati da Jenny Diski che illumina sul loro rapporto madre-figlio.

Ma “ In gratitudine ” non è una mera raccolta di pettegolezzi, simili a quelli sui suoi amici e amanti che la stessa Doris Lessing raccontava alla giovanissima Jenny. L’autrice elabora un’analisi dura e impietosa, anche se mai cinica, sui rapporti spesso tragici che possono incatenare i figli ai loro genitori, siano essi biologici, adottivi o affidatari, come fu Doris Lessing per la giovane Jenny Diski

E nel contempo è anche il resoconto delle disavventure assurde e tragiche di una ragazzina sbandata in una Londra anni sessanta, che non era così swinging come appariva a me, che ne ero innamorata alla stessa età di Jenny. 

A tratti l’autrice insinua il dubbio se sia lecito per gli scrittori utilizzare nelle proprie opere le esperienze di vita di famigliari, amici, amanti, così come se sia corretto mentire sulla propria vita privata. “ In gratitudine ” è anche il racconto impietosamente lucido, ma anche molto ironico, di una scrittrice che si sottopone alla radio e alla chemioterapia, pur sapendo di non poter guarire. Perché si può essere autoironici anche parlando delle cadute sui marciapiedi, per colpa delle terapie, e degli acquari vuoti negli ospedali londinesi. E la Diski riesce magnificamente anche in questo.

Lascio a chi leggerà il libro decidere quanta verità sia nel memoir di Jenny Diski e quanta nei libri e nell’autobiografia di Doris Lessing. Alla fine di tutto, rimane al lettore e soprattutto alla lettrice, un’unica domanda, alla quale Jenny Diski, forse, ha saputo rispondere. “Perché cazzo mi è toccata tutta questa merda?”

Un libro da leggere per chi ancora si sta ponendo questa domanda, ma anche per chi non se l’è mai posta nella vita. Un libro necessario per chi ha letto e amato tutti i libri della Lessing, che troverà in Jenny Diski uno stile narrativo rigoroso e un approccio alla vita estremamente distanti da quelli dell’autrice premio Nobel.

Il mio rammarico è di aver conosciuto Jenny Diski solo dopo la sua morte, ma sono grata a NN Editore che, dopo “ In gratitudine ”, pubblicherà anche i suoi due libri reportage di viaggi “Stranger on a Train” e “Skating to Antarctica” .



“ In gratitudine ” di Jenny Diski, intenso e acuto memoir di 272 pagine, tradotto magistralmente da Fabio Cremonesi, può essere acquistato anche direttamente sul sito della NN Editore.






2 commenti:

carmen ha detto...

Conoscevo la parte "materna" di Lessing che quando ne ho letto mi aveva lasciata basita. Come per altre/i artisti, sempre meglio non entrare nel loro personale, si potrebbe rimanere molto delusi. A me è capitato con un persona importante che stimavo enormemente e che dopo aver avuto occasione di conoscerla più a fondo mi ha deluso profondamente. Di questi esempi ne abbiamo davvero molti. In ogni caso ho preso nota di questo libro. Sembre interessanti le tue recensione

amenteacida.blogspot.com ha detto...

Grazie Carmen. E'vero, incontrare una persona che si stima moltissimo, come artista o politico o altro, implica il fatto di riconoscere che abbiamo di fronte un essere umano, con tutte le sue debolezze, difetti e, a volte, meschinità. E' capitato anche a me.
Tuttavia il libro della Diksi va oltre il racconto del privato di Doris Lessing, ci spiega quanto fosse a volte meschina con i suoi amici e amanti e, soprattutto, con le amiche, anche quelle che l'avevano aiutata per anni.
E anche le sue riflessioni sul femminismo non mi stupiscono: leggendo la sua autobiografia si nota quanto poco fosse empatica verso le altre donne in Africa (esemplare per me quando racconta delle sue prime mestruazioni...). Insomma da lì a pensare che per anni l'ho immaginata come un esempio "femminista"...Rimane ovviamente la grandezza come scrittrice.
E' una delusione che ho provato anche leggendo l'autobiografia (spesso lacunosa) della De Beauvoir. A volte noi donne non siamo sincere fino in fondo, anche con noi stesse. Jenny Diski, invece, è sincera fino all'autolesionismo. Una scrittura che incide e purifica. Te lo consiglio.